lunedì 24 agosto 2009

"American History X" di Tony Kaye

pubblicato su "www.filmedvd.it"

Storia di razzismo?
Storia sull'impatto sociologico del nazismo?
Storia sull'impatto della società deviata nei giovani d'oggi?
Storia americana?
American History X è tutto questo e anche qualcosa di più. L'opera prima di Tony Kaye è soprattutto una storia di rinascita. Di morte e rinascita. Di redenzione.
Derek muore. Da giovane, da ragazzo precipita in un buco nero fatto di violenza, odio, razzismo, onnipotenza. Come essere umano Derek non esiste più. Come un angelo caduto precipita all'inferno. Un inferno senza colore, senza vita, dove l'unica prerogativa è cancellare, uccidere, eliminare tutto quello che non rientra nella visione della vita da lui delineata.

Il film ha una netta struttura in tre parti, se volessimo dispiegare la storia nell'ordine cronologico in cui si svolgono i fatti. Questa, quella della morte di Derek è la prima parte. L'Inferno.
Il Purgatorio, la seconda fase di questo cammino di redenzione e rinascita che è la storia di Derek è il carcere, dove la sua anima di angelo caduto riprende coscienza di se e del mondo. Derek torna in vita, comprende chi è, comprende quello che ha fatto, comprende soprattutto chi sono i suoi compagni e qual'è l'odio cieco e assurdo al quale ha dato retta fino a quel momento. Derek si redime, non solo legalmente, ma soprattutto psicologicamente.
Ora, in una tale visione del film, la terza parte, quella del ritorno a casa, quella dove il colore torna a riempire l'inquadratura, dovrebbe rispecchiare il Paradiso, ma American History X è troppo realistico per non sapere che il Paradiso in Terra, non esiste. Ed ecco che i peccati commessi da Derek non possono essere del tutto espiati e la tragedia lo marchierà a vita, ricordandogli per sempre di quando era morto.

American History X” fu vittima ai tempi di un contrasto forte tra Kaye e la produzione che si impose molto sul neo-regista che dovette rinunciare al potere decisionale del final-cut. Quindi nel prodotto finale è difficile distinguere tra quello che è veramente frutto del regista e quello che invece è stato imposto dalla produzione. Non sappiamo ad esempio, a chi spetta l'onere della struttura narrativa e della decisione di dividere in film, metà in bianco e nero e metà a colori, oppure di mischiare l'ordine degli eventi. In entrambi i casi però, chiunque ne abbia il merito, mi sento di dovermi congratularmi per la scelta fatta. Come già accennato il B/N o Colore va ad indicare le due diverse vite di Derek, quella prima e quella dopo la redenzione, dopo il Purgatorio. L'ordine degli eventi, nel quale vediamo prima il passato da Nazi del protagonista, poi il suo stato di redento e infine l'elemento più importante, l'aspetto cardine del film, ovvero il carcere. Il rischio era che un passaggio così forte tra il Vecchio Derek e il nuovo Derek, completamente l'uno contrapposto all'altro risultasse fasullo se gli avvenimenti del carcere non avessero abbastanza forza e convinzione per spiegare la mutazione. Il rischio corso però ha dato i suoi frutti. Quello che accade in prigione a Derek è non solo credibile, ma “giusto”. Nel senso che ora si trova incastrato in quel folle progetto di odio e vendetta che è il razzismo. Da carnefice ora si ritrova vittima. Vittima dei suoi stessi “fratelli”. Questo schiaffo della realtà lo porta a vedere tutto con più nitidezza (ecco ancora il passaggio al Colore). Uno schiaffo talmente forte che anche se non vissuto in prima persona, riesce a convincere suo fratello che la scelta giusta da fare è abbandonare quella strada. Ma come è stato detto, il Paradiso in Terra non esiste e ormai è troppo tardi. Per uno che torna alla vita, qualcuno la lascia per sempre.
 Questa è la storia americana, quella con X maiuscola.

giovedì 13 agosto 2009

"Non è un paese per vecchi" di Joel e Ethan Coen


Ci risiamo. Succede tutte le volte (o quasi) che ci si appresta a parlare di un film tratto da un romanzo. Di un'opera cinematografica che trae ispirazione da un'opera letteraria.Ogni volta il dilemma salta fuori. Si può parlare di un adattamento senza prendere in considerazione l'opera originaria? Si può giudicare un film senza aver letto il romanzo?
Ovviamente la risposta non può essere univoca per tutti i film. In alcuni casi diventa addirittura inutile, come per le opere di Stanley Kubrick che sono quasi tutte adattamenti di altrettante opere letterarie. Ma il genio di Kubrick e la sua unica concezione del cinema, rendono ogni singolo film assolutamente indipendente dalla sorgente letteraria rendendoli a tutti gli effetti storie originali. In altri casi invece è doveroso soffermarsi anche sul romanzo e notare come la storia sia stata trasportata sullo schermo.
Uno di questi film è “Non è un paese per vecchi” tratto dall'omonimo romanzo di Cormac McCarthy, uno dei migliori adattamenti degli ultimi anni. I Coen portano sullo schermo in maniera il più fedele possibile, quasi scientifica, tutta la tensione, tutto il fascino e tutti i magnifici dialoghi di McCarthy amplificandone la bellezza attraverso il loro indubbio talento.

Molti di coloro che hanno letto il libro del Premio Pulitzer americano potranno pensare che il lavoro dei Coen fosse facile. Ancora di più se si voleva restare fedeli al libro. Non si sono dovuti neanche impegnare molto a scrivere i dialoghi o a creare personaggi. Era già tutto nelle pagine di McCarthy. E invece le cose non sono così semplici. Perchè un conto è la pagina scritta, il racconto per parole e tutta un'altra cosa e raccontare la stessa storia, la stessa scena, lo stesso dialogo sullo schermo. Intanto è necessario selezionare, dividere ciò che va mantenuto da quello che sullo schermo non può funzionare. Bisogna cesellare. E in questo i due fratelli del Minneapolis sono stati fantastici, dimostrando grande padronanza della struttura e delle regole narrative del cinema, sapendo cogliere le situazioni più cinematografiche, adattandole dove necessario alle esigenze filmiche ed eliminando i rami morti (per il film ovviamente) che sarebbero stati di troppo, se non addirittura dannosi per la crescita dell'organismo-film.
L'altra difficoltà è quella di trasformare una scena di Cormac McCarthy in un scena dei Fratelli Coen. “Non è un paese per vecchi” nonostante non nasca da un soggetto originale è a tutti gli effetti un'opera dei Coen, anzi è probabilmente la summa di tutti i loro lavori, della loro straordinaria capacità di utilizzare a 360° il mezzo filmico per creare quello che si avvicina il più possibile al concetto di Mito. Il lavoro dei Coen può essere visto come un lavoro di modellazione, quasi come degli artigiani dell'argilla che plasmano una figura tridimensionale fino a quel momento esistita solo sulla carta sotto forma di schizzo preparatore. Un personaggio come quello di Anton Chigurh, il killer con la bombola ad aria compressa (idea di McCarthy) che i Coen plasmano in IL killer per eccellenza vestendolo di pura follia. Il taglio di capelli di Bardem è perfetto, elemento grottesco affibbiato ad un personaggio che di grottesco non ha nulla. Proprio per la sua apparente buffoneria, la violenza risulta ancora più efferata e Chigurh ancora più terrificante. La presenza scenica di questo personaggio non ha eguali. Quando entra in scena lui, sembra di assistere all'ingresso di Darth Vader. Non sai cosa aspettarti, ma sai che non sarà nulla di positivo.

Il modo con cui i Coen utilizzano il "non visto" (sono pocchissime le morti che avvengono sullo schermo, si arriva spesso sul posto a fatto compiuto), la suspance, la tensione, attraverso un ritmo lento che rende la storia allo stesso tempo glaciale, meticolosa e adatta alla riflessione. La glacialità e meticolosità con cui Chigurh e Llewelyn fuggono e inseguono e la riflessione di quell'uomo troppo vecchio per stare al passo con un mondo ormai non più adatto a gente come lui. Lo sceriffo Bell, narratore e moralizzatore, è il nostro legame con quel no country for old man in cui anche noi ci sentiamo fuori luogo.
La sequenza del motel, il dialogo tra Chigurh e il benzinaio, la fuga di Moss inseguito dal cane (una fotografia da mozzare il fiato), il sogno di Bell, sono decine le scene di una perfezione assoluta, che donano al film un aurea da capolavoro. Sintesi perfetta di “Non è un paese per vecchi” il sogno finale dello sceriffo, sintesi del contrasto tra il vecchio e il nuovo. In quel buio e in quel freddo in cui è precipitato il mondo, chi vi è cresciuto dentro resta indietro, resta perduto. Ma da qualche parte, forse proprio nel nostro passato (il padre) possiamo trovare ancora una luce a guidare il cammino. E quel “E poi mi sono svegliato” che lo ripiomba in un istante nella quotidianità. Magistrale.