domenica 27 aprile 2008

"Mare Nero" di Roberta Torre

pubblicato su "www.filmedvd.it"

In una recente discussione che ho avuto con un regista che faceva fatica a realizzare un film da un suo soggetto, ci siamo ritrovati a discutere della qualità di certi film presenti nelle sale italiane e a come resti inspiegabile il criterio di scelta dei produttori sulle sceneggiature da realizzare o meno. Il giorno dopo mi sono trovato a vedere questo "Mare nero" che non avevo ancora visto e che mi attirava. Al termine della visione (in reltà ben prima) mi è tornata alla mente quella riflessione: ma come fanno i produttori a finanziare un film del genere? Perchè l'uscita di "Mare nero" resta effettivamente un mistero. Per ben 45 minuti non succede nulla. il film prosegue in una noia mortale, non ovviamente per il ritmo blando, ma perchè nella storia non accade nulla. E quando dopo i primi 45 minuti avviene quella che dovrebbe essere una svolta, ovvero la confessione dell'assassino, ci si aspetterebbe una virata, il film continua a viaggiare per la sua strada insulsa e anti-emozionale.

Chiaramente ispirato a "Eyes Wide Shut" in maniera quasi imbarazzante, il film di Roberta Torre non ha però un briciolo del fascino e della potenza visiva dell'opera di Kubrick. Cruise finiva in un vortice di sesso, morte e inquietudine dopo le dichiarazioni della moglie, qui è un omicidio a spingere Lo Cascio a indagare sui suoi desideri nascosti. Sia Cruise che Lo Cascio non tradiscono mai fisicamente la propria donna, entrambi si ritrovano in un obitorio davanti al corpo della ragazza uccisa, entrambi esplorano un mondo sconosciuto simile a una setta segreta, eccetera eccetera. Ma al di là del paragone, inevitabilmente spietato, quello che proprio manca completamente in "Mare nero" è un senso, un motore che conduca la storia. Lo Cascio si muove senza senso, senza fascino in una indagine che non solo non coinvolge ma che manca completamente di ogni significato logico-narrativo.

Quello che mi aveva fatto interessare al film prima della sua visione era l'originalità, almeno rispetto al cinema nostrano, dell'aspetto e dello stile della pellicola (a me ricorda certo cinema francese). Una differenza che è giusto lodare, ma che finisce per diventare presunzione. Per il resto il film non aveva alcun motivo per finire sul grande schermo. Scenografie scarne e spigolose fino al grottesco, piani-sequenza senza senso, scene inutili e dialoghi messi lì senza attenzione.
Un tentativo mal riuscito di esplorare un aspetto della sessualità e della mente di un uomo, che annoia e non cattura.

Forse l'unico pregio del film è quello di spingere gli autori a non demordere....se "Mare nero" ce l'ha fatta possono riuscirci tutti.

mercoledì 23 aprile 2008

"Salvador - 26 anni contro" di Manuel Huerga


"Salvador" è uno di quei film particolari, che ti spingono a chiederti che cosa rende davvero bello un film e quali elementi, possono essere lasciati in secondo piano senza per questo compromettere l'obbiettivo finale di una pellicola cinematografica, ovvero emozionare il pubblico raccontando una storia.

Perchè "Salvador" è indubbiamente un ottimo film, ma di certo non è privo di difetti, alcuni dei quali sembrerebbero (dovrebbero essere) abbastanza gravi.

Cominciamo col cercare di capire qual'è l'intento di Huerga con questa sua seconda opera. Guardando il titolo, appare chiaro che la storia sia incentrata sulla figura di Salvador Puig Antich, estremista di sinistra nella Spagna anni '70 condannato a morte per l'omicidio di un poliziotto. Morte utilizzata dagli uomini di Franco come esempio e monito ai rivoltosi. In effetti è proprio lui il protagonista indiscusso del film, di cui vediamo, nella prima parte la sua evoluzione all'interno del MIL e poi, nella seconda parte, i suoi ultimi giorni passati in carcere in attesa del definitivo verdetto.

Se vuole essere sua la storia da raccontare, c'è qualcosa che manca. Ovvero Salvador stesso. Sembra strano ma a ben vedere di lui sappiamo ben poco. Vediamo le sue azioni e le consegunze che tali gesti comportano, ma sappiamo poco di lui, delle sue motivazioni, del suo passato. Anche i rapporti con le sue sorelle e con le due ragazze che ha amato sono sottolineati in maniera superficiale, dando per lo più l'impressione che siano lì unicamente perchè funzionali alla storia, ma che non ci permettano di conoscerli un po' più affondo. Conoscendo il periodo storico possiamo ricostruire le vicende, ma basandosi solo sulla visione del film, al termine resta il dolore per la morte di Salvador e la rabbia per il suo omicidio, ma ci balenano in testa domande come: Perchè è successo tutto questo? Perchè ha fatto quello che ha fatto? Che cosa ha portato, Salvador e gli altri, a questo punto?

Ecco, gli altri. Se l'intento del film fosse invece quello di raccontare quel periodo storico e quelle rivolte, sia su un piano politico che sovversivo, l'obbiettivo non è raggiunto. Non sappiamo nulla del MIL, dei compagni di Salvador. Sono solo dei ragazzi che utilizzeranno l'azione violenta per colpire lo Stato. Ma di loro conosciamo appena le facce e i nomi. Nient'altro.

Se da una parte, storia e personaggi scarseggiano, dall'altra però la regia di Huerga, la fotografia di Omedes e il montaggio di Borricòn lasciano davvero il segno. Huerga realiza alcune sequenze davvero splendide, come quella della prima notte tra Salvador e Margalida, spontanea e sensuale, o la morte di Salvador (anche se lì si gioca un po' con i facili sentimentalismi).
La fotografia a dire il vero finisce un po' per stancare, con quella sovraesposizione che annulla completamente i colori e tende a dare al film un aspetto quasi documentaristico. Comunque fa il suo effetto.
Nel complesso quindi, Salvador è un bel film, a tratti intenso, ma che guardandolo attentamente ci si accorge che non possiede una vera e propria struttura narrativa, con personaggi poco approfonditi.

venerdì 18 aprile 2008

"Juno" di Jason Reitman

C'era attesa per il secondo film di Jason Reitman. Dopo il riuscito "Thank you for smoking" intelligente e politicamente scorretto, il figlio di Ivan Reitman era chiamato alla prova del nove per dimostrare le sue capacità e loha fatto portando sullo schermo una storia che sulla carta rischiava fortemente di cadere nel girone delle teen-comedy, le commedie adolescenziali ricche di banalità e falsi moralismi. Possiamo dire che la prova è stata superata. Non solo per merito del regista, ma per la giusta amalgama degli altri elementi cinematografici. Brava Ellen Page, una delle giovani attrici più brave in circolazione, che nonostante abbia da poco compiuto 21 anni, riesce a convinvere appieno nel ruolo di una matura 16 enne, tanto dura e sfrontata quanto sentimentale e attenta alle piccole cose. Brava Diablo Cody, ex-spogliarellista, che firma la sceneggiatura e lo fa con una intelligenza e una originalità, nelle situazioni e nei diloghi, che raramente si ritrova nelle opere di sceneggiatori professionisti. E' vero che il linguaggio utilizzato dai protagonisti di "Juno" sembra fare il verso a quello di Alex in "Arancia Meccanica", ma l'equilibrio che si riesce a creare tra commedia sofisticata, con dialoghi e personaggi azzeccati e mai banali e la commedia giovanile, fatta di balli di fine anno e gelosie scoppiate tra i corridoi del liceo è sorprendente per una scrittrice esordiente. Un film che non annoia, che diverte senza essere stupido e come per l'opera prima di Reitman, non viaggia su binari scontati e politicamente corretti, ma propone temi poco trattati con la giusta dose di divertente serietà.

venerdì 4 aprile 2008

"My blueberry nights" di Wong Kar Wai


"My blueberry nights" non è una storia d'amore, ne tanto meno una commedia sentimentale come vorrebbero farci credere il titolo italiano e il trailer.
"My blueberry nigths" è un film SULL'amore. Elizabeth è quasi un Virgilio che ci porta ad osservare alcuni aspetti dell'amore. Abbiamo la gelosia nella persona della stessa Elizabeth, abbiamo il dolore per una storia finita, personificato dalla figura di Arnie, il rimpianto che ha il volto di Rachael Weinz e la fuga dai sentimenti di Leslie, che non a caso si mette realmente in viaggio e che poi scappa alla realtà e fatica a seguire i propri sentimenti verso il padre.
Alla fine di questo viaggio catartico nelle pieghe dell'amore, Elizabeth comprende meglo chi è e che cosa vuole. Comprende la sua vita, i suoi sentiment, la sua storia passata. E questo gli permette di tornare a dove era partita, a quel ragazzo conosciuto prima del suo viaggio iniziatico.

Come ogni viaggio che si rispetti, anche quello di "My bluberry nights" attraversa vari luoghi, anch'essi metafora dei sentimenti. Elizabeth lavora in due locali. Nel primo, di giorno, incontra Arnie come "persona", fuori dalla sua immagine di anima persa in quel girone dantesco che è invece il secondo locale, quello dove lavora di notte e dove Arnie si ubriaca e mostra tutto il suo dolore verso la moglie. Anche Sue Lynne presenta due facce. La prima, quella falsa, è quella determinata e sicura di sè che scivola lenta nel locale sotto gli occhi dei clienti. L'altra, quella vera e sincera, è quella della strada, quella che piange e rim-piange sulla foto del marito, quella che chiede ad Elizabeth di aspettare a pagare il conto, di aspettare a staccare per sempre quell'ultimo brandello di Arnie ancora vivo sulla bacheca del locale.
Anche Leslie è un doppio. Ha una doppia anima e due luoghi dell'anima. Quella del tavolo verde, quella dura che vuole giocare con gli altri, che vuole muovere i fili e poi quella del viaggio, quella che ha paura ad accettare la realtà, anche quando gliela si spiattella in faccia. Quella che ha paura ad ammettere di aver bisogno di qualcuno, anche solo per un viaggio, anche solo per parlare con il padre in fin di vita.

Elizabeth incontra queste anime perse e sole, come persa e sola è anche lei, incapace di attraversare la strada e andare oltre. E quando alla fine ritorna da dove era partita è un'altra persona. Una che ha visto cos'è l'amore, che cosa c'è nell'animo delle persone e che sa ora come andare avanti.
Il ristorante di Jeremy, invece è un limbo, in cui la Elizabeth insicura di sè e dell'amore staziona alla ricerca di risposte, desiderosa di capire che cosa succede tra due persone, che storie si celano dietro dei mazzi di chiave. E Wong Kar Wai, nelle seguenze iniziali fonde insieme personaggi e ambiente, inquadrando i due protagonisti da dietro la vetrina, tra insegne al neon e riflessi colorati. Elizabeth e Jeremy sono già legati tra loro, fusi insieme come quel gelato che scivola nella torta di mirtilli già nelle prime scene.

L'eleganza di Kar Wai non è mai inutile. Presenta sempre un significato dietro. Come il rallenty, che "rallenta" il ritmo del film e dei personaggi, dando il tempo a loro e a noi di prenderci una pausa, di osservarci dentro, di viaggiare tra i ricordi, che siano una mano che lascia la maniglia, una porta che si chiude dietro un amore che se ne va, un conto appeso alla parete, un auto che si allontana per sempre. Kar Wai presta, come sempre, particolare attenzione ai dettagli, agli oggetti, agli sguardi, trasformandoli in immagini, in quadri che sono appunto anche frammenti di memoria, di vita e di sentimenti.
"My blueberry nights" non è il film più bello del regista cinese, ma la grandezza di autori come lui sta nel rendere splendida anche una storia semplice, essenziale, scarna ma senza dubbio ricca di una umanità e una dolcezza (vedi il bacio finale), che senza essere retorico, solo un regista come lui è in grado di realizzare.