lunedì 16 febbraio 2009

"Valzer con Bushir" di Ari Folman


(Trailer: http://www.youtube.com/watch?v=-8f7n2VYF04)

Ormai l'abbiamo capito. Il valico che divide il mondo del cinema in presa diretta e quello dei film d'animazione è stato superato, anzi possiamo quasi dire che non esiste più. Ormai l'animazione è divenuta un mezzo per raccontare e non un genere a sè stante, diversificato dal resto della cinematografia e limitato ad un pubblico di minorenni. In realtà di cartoni animati per adulti ce ne sono sempre stati, basti pensare a Ralph Bakshi, agli anime giapponesi o a Miyazaki. Ma negli ultimi anni, vuoi anche la diffusione delle tecnologie utilizzate, il muro che avvolgeva il mondo dell'animazione è crollato definitivamente. Poco importa che si tratti della iper-tecnologia della Disney/Pixar, della motion capture di Zemeckis, dei disegni black&white di Persepolis o degli attori dipinti dei film di Richard Linklater, la morale è che ora l'animazione viene vista per quella che effettivamente deve essere: una tecnica per dare maggior sfogo alla creatività e mezzo per raccontare storie che con la presa diretta sarebbe difficile narrare.

"Valzer con Bashir", firmato dall'ex soldato israeliano Ari Folman, non è solo un film sul massacro di Sabra e Shatila, ne un film sulla guerra civile libanese. E' un film sulla memoria collettiva e sul rapporto tra l'orrore e i nostri ricordi. Forse, più di tutto, la volontà di Folman è quella di dirci che la violenza è talmente disumana che il nostro cervello non la vuole neanche ricordare. La guerra non fa parte dell'uomo (o almeno non dovrebbe) tanto che la nostra mente la ripugna, la cancella, la nasconde. "Valzer con Bashir" è un film di suggestioni più che di fatti, proprio come i nostri ricordi che si fondono, si nascondono dietro altri ricordi, altri pensieri. Per questo motivo la scelta dell'animazione è azzeccatissima, perchè sarebbe stato impossibile raccontare quelle suggestioni con tale efficacia attraverso il “live action”. Il racconto si dipana come un documentario, in una struttura molto cinematografica, con una sorta di indagine atta a colmare i vuoti di memoria di Folman. I racconti che i suoi ex-commilitoni gli fanno non vanno tanto ad arricchire il racconto di quella guerra da un punto di vista strettamente storico-politico, ma ci raccontano loro stessi. Frammenti di vita tra i mortai, storie di sogni, desideri, paure. Storie personali che ci riportano le assurdità, le paure e gli incubi di ogni conflitto bellico.

Il limite del film però rischia di essere proprio questo. Se da un lato è giusto che Folman, da ex soldato israeliano racconti, e possa raccontare, quei giorni solo dal punto di vista israeliano, dall'altro questo finisce per dare poco respiro al film, che rischia di apparire solo come un omaggio ai suoi ex-compagni, una rimpatriata per ricordare quei brutti tempi, ma senza dire nulla di più sulla guerra o quel particolare conflitto. Anche quando nel finale Folman si concentra maggiormente sul massacro vero e proprio, non aggiunge molto di più a quello che già si sapeva. Resta quello che è, un ricordo personale, anzi una serie di piccoli ricordi personali, che uniti insieme regalano uno sguardo limitato sugli scontri e i massacri, senza approfondirli più di tanto.

Splendida l'animazione, che fonde insieme la grafica 3D, il disegno classico e l'animazione Flash. Animazione supportata da una musica a tratti punk rock che ben si amalgama con quelle immagini dai contrasti forti e dai colori vivi. Un buon esperimento che forse avrebbe avuto bisogno di maggior coraggio e un più ampio respiro.

venerdì 13 febbraio 2009

"Star Wars" di George Lucas - (guest directors Irvin Kershner & Richard Marquand)


“La Vendetta dei Sith” (ROTS) ha rivoluzionato Star Wars. Dal 19 Maggio 2005 e per la prima volta da quando uomini, donne e bambini di tutto il mondo si appassionarono alle storie di Luke Skywalker, Han Solo, R2-D2, Darth Vader e via dicendo, le parole Star Wars hanno un significato ben preciso. Non indicano più un singolo film, così come accadeva nel 1977 e nemmeno una singola trilogia. Oggi, e per la prima volta, Star Wars (cinematograficamente parlando) è il nome di un unico film di 13 ore. Questo che lo vogliate o no. Star Wars (o Guerre Stellari che dir si voglia) sono le due paroline magiche per indicare una straordinaria epopea unica nel suo genere che mai ha avuto e probabilmente mai avrà rivali. E questo grazie a ROTS e ai suoi due predecessori. Come dicevo all’inizio, il III episodio della saga ha rivoluzionato (ma forse è meglio dire ampliato) la potenza della Vecchia Trilogia (VT) e dato maggior importanza a “La Minaccia Fantasma” (TPM) e “L’Attacco Dei Cloni” (AOTC). A partire dai personaggi della VT che ora possono essere visti sotto una luce nuova che sicuramente risplende con maggiore potenza rispetto a prima.

Uno di questi è Palpatine che sicuramente, tra tutti i protagonisti della saga, è quello che grazie alla narrazione dell’inizio della storia ci ha guadagnato di più. Il suo spessore caratteriale, la sua importanza e soprattutto la sua malvagità sono aumentati drasticamente. Infatti con una visione di Star Wars limitata alla sola Trilogia classica c’eravamo fatti un’idea sbagliata dell’Imperatore. Per prima cosa non lo ritenevamo il “cattivo” di Guerre Stellari, ruolo che invece andava a Darth Vader, ma era semplicemente una figura di fondo (per quanto importante). Di lui sapevamo che era il Maestro di Vader, che era sicuramente potente e che aveva la classica ambizione di conquistare il mondo, pardon la Galassia. Adesso, con una visione completa della storia ci rendiamo conto che Palpatine è molto più malvagio, subdolo e diabolico di quello che pensavamo. Da “La Minaccia Fantasma” in poi possiamo assistere a tutte le sue mosse per raggiungere quella poltrona d’Imperatore su cui siederà ne la VT. Scopriamo così che Palpatine ha l’abilità di giocare a suo piacimento con i sentimenti e con il dolore delle persone che lo circondano, dalle quali si presenta come un amico, un consigliere, un mentore. Basti pensare a quello che dice Anakin in suo favore quando Obi-Wan gli svela la decisione del Consiglio di spiarlo. Organizza sotto le sembianze di Darth Sidious una invasione su Naboo (il suo pianeta natale) al solo scopo di sfruttare l’amore e l’attaccamento che la regina quattordicenne Padmé Amidala prova nei confronti del suo popolo per convincerla a spodestare Valorum dalla sua carica di Cancelliere Supremo ovviamente per occupare lui stesso quella poltrona. Poltrona che gli permetterà di controllare il Senato, la Giustizia e perfino il Consiglio dei Jedi. Fa scoppiare una guerra galattica semplicemente per avere una “scusa” per creare quell’esercito di Cloni di cui avrà bisogno per conquistare la Galassia e distruggere finalmente i Jedi. Nella sua doppia veste di Cancelliere saggio, leale, dai buoni principi di pace da una parte e di signore dei Sith, Darth Sidiuos (la sua vera identità) dall’altra, è a capo di una diabolica macchinazione per raggiungere il Dominio Totale, approfittando di ogni minima possibilità per sfruttare sia i “buoni” che i “cattivi”. Perché Palpatine ha la caratteristica di essere un cattivo assoluto in grado di ingannare anche quei characters che riteniamo siano suoi alleati (o almeno lo credono loro) ma che in realtà sono anch’essi pedine di quella enorme partita a scacchi che è la salita al potere: come il viceré della Federazione del Commercio o il Conte Dooku. La dimostrazione che sia Palpatine il vero “Cattivo” della Saga e non Darth Vader l’abbiamo dal fatto che con questa sua straordinaria abilità di manipolare le menti altrui e d’intrecciare sordidi complotti, riesce ad ingannare perfino Anakin Skywalker, colui che ritenevamo l’antagonista di Star Wars. Detto questo sembrerebbe di avere a che fare con un uomo estremamente astuto e diabolico ma che preferisce lasciare agli altri il lavoro sporco. Sbagliato! Infatti, se tutto questo non bastasse Palpatine/Sidious è perfino un potente guerriero, sia nel combattimento con le spade laser che con i poteri del Lato Oscuro della Forza e in “La Vendetta Dei Sith” ce ne da ampia dimostrazione liberandosi facilmente dei Jedi che sono venuti ad arrestarlo (e stessa fine avrebbe fatto anche Windu se non fosse che gli serviva vivo) e sconfiggendo il più potente Maestro Jedi, Yoda. Insomma Palpatine è un Cattivo a 360°, subdolo, meschino, malvagio e potente. Un cattivo perfetto, forse il più completo e diabolico della storia del cinema. Un cattivo che senza la Nuova Trilogia (NT) rischiavamo di perdere. E ora guarderemo l’Imperatore degli episodi V e VI in modo diverso, consci delle sue reali e diaboliche capacità.

Come dicevo all’inizio ROTS e tutta la trilogia iniziale di Star Wars hanno il merito di aver aumentato di spessore e profondità alcuni personaggi della Trilogia Classica. I loro comportamenti e le loro azioni hanno assunto una maggiore comprensione e un più profondo significato. Uno dei personaggi che è stato maggiormente sviluppato è sicuramente Obi-Wan Kenobi. Nella VT il nostro aveva il compito, insieme a Yoda, di fare da guida a Luke (e a noi stessi) tra le meraviglie e i pericoli che il potere della Forza presenta. È proprio su questo aspetto “dell’insegnamento” che mi voglio soffermare. C’è un motivo importante, che affonda le sue radici nel passato, che porta Kenobi ad interessarsi alla crescita di Luke e al suo tirocinio da Jedi: la Sofferenza. Obi-Wan Kenobi ha sofferto. Ha sofferto quando Anakin, suo allievo, suo migliore amico, suo “fratello” si è volto definitivamente al Male. E lo sappiamo guardando quella bellissima scena in cui Vader scivola nella lava e Obi-Wan urla tutto il suo dolore. Ha sofferto perché è stato proprio Anakin, colui che doveva portare equilibrio nella Forza a gettarla invece nelle tenebre. E sono dolore e sofferenza i motivi che lo spingono a non svelare del tutto la verità a Luke sulla sorte del padre. Non è un bugiardo, come si potrebbe pensare guardando la VT, ma come gli disse Yoda in ROTS dopo aver visto le registrazioni della sorveglianza, Anakin, l’Anakin che conosceva fin da quando era un ragazzino impaurito, è morto sopraffatto dal Lord Sith Darth Vader. È per questi motivi, e non per un semplice legame ai principi di Jedi, che Kenobi vuole che Luke sia fedele al Lato Chiaro della Forza. Non vuole rischiare di perdere anche lui. Di fallire di nuovo.
Un altro aspetto di Obi-Wan che è stato decisamente enfatizzato dalla NT è il suo essere un Cavaliere Jedi, un potente Cavaliere Jedi. E’ lui a sconfiggere Darth Maul, il Generale Grievous, a mettere in fuga Jango Fett e per poco, a non uccidere l’Eletto (ma d’altro canto era destino che finisse così). È Obi-Wan a regalarci i duelli con le spade laser più belli che si erano mai visti. Mi viene da chiedermi: ma come potevamo essere fan dei Jedi o dei Sith se non avevamo mai visto un combattimento come quello in TPM? La Minaccia Fantasma, L’Attacco dei Cloni e La Vendetta Dei Sith ci mostrano un nuovo Obi-Wan Kenobi, estremamente umano nelle sue debolezze e nei suoi punti di forza. Un uomo che ha avuto (oppure se lo è cercato) un compito tra i più difficili che potevano essere assegnati a un Jedi: addestrare colui che porterà equilibrio nella Forza. Obi-Wan è un guerriero forte e saggio, leale e coraggioso ed è indubbio che adesso, quando lo guarderemo in Una Nuova Speranza e ne Il Ritorno Dello Jedi parlare con Luke del passato e di Anakin, non potremo non pensare alle sue vicende da Cavaliere, ai suoi occhi pieni di lacrime mentre incrociano quelli di Vader morente (per lui comunque resta sempre Anakin) e capiremmo perché non creda che ci sia ancora del buono in Vader dopo che lo ha visto sterminare bambini, strangolare Padmé e urlargli addosso “Ti odio!”. Sarà anche più facile comprendere il suo atteggiamento di quasi rassegnazione immediata dopo che Luke in ROTJ gli dice che non può uccidere suo padre “Allora l’Imperatore ha già vinto. Tu eri la nostra unica speranza.” Capisce quello che Luke sta provando. Perché è lo stesso sentimento che provò lui al solo pensiero di affrontare e uccidere Anakin.
Quando comparve per la prima volta nell’Impero Colpisce Ancora, parlando in quel suo modo strano non avremmo scommesso un centesimo su di lui. Quando, sempre nello stesso episodio sollevò con la sola forza interiore un X-Wing dalla palude pensammo “Beh, forse un po’ più di fiducia se la merita, questo piccoletto.” In ogni modo, nella Vecchia Trilogia si fa fatica a pensare a Yoda come a un potente Maestro Jedi. Un guerriero che ha visto e ha partecipato alla Guerra dei Cloni, talmente potente (o fortunato) da essere l’unico Jedi a non morire per mano di qualcuno. Con la NT, ecco che anche Yoda ci viene mostrato per quello che è realmente. E allora mentre prima non capivamo del tutto se Yoda in TESB ci era o ci faceva, ora sorridiamo divertiti e più consapevoli quando lo vediamo prendersi gioco di Luke su Dagobah. Sappiamo qual è la vera forza del Maestro e questo ci fa interessare ancora di più alla vicenda di Luke. Yoda è saggio e potente, su questo non ci sono dubbi e ha aspettato questo momento (l’addestramento del giovane Skywalker) da molto tempo. Adesso, arrivati a 5/6 del film ci chiediamo se effettivamente c’era un reale motivo per sperare in Luke. Qualcuno si è messo a ridere e ha urlato all’assurdità (per non dire alla blasfemità) quando vide ne AOTC Yoda accendere la sua spada laser verde e saltellando combattere contro Dooku. Pensare a un combattimento tra due guerrieri che hanno più di un metro e mezzo di differenza non era certo facile e ritengo che questa scelta (tra l’altro era l’unica possibile) ci dia finalmente un immagine di Yoda di grande Maestro in grado di utilizzare la Forza e di mostrare il suo potere solo quando estremamente necessario, facendo credere ai suoi avversari (come fece con Luke) che sia l’altezza o la forza fisica quelle che contano maggiormente, per poi invece dimostrare tutta la sua vera Forza. Grazie a la Nuova Trilogia siamo entrati in profonda conoscenza non solo di Yoda e Obi-Wan, ma di tutto l’ordine dei Cavalieri Jedi e dei loro rivali di sempre, i Sith. È innegabile che con una visione di Star Wars ristretta all’ultima metà, si sa poco o nulla sui Jedi, sul loro ruolo, sul loro prestigio e contemporaneamente sulla malvagità e sul pericolo presentato dai Sith.
Così come George Lucas ha fatto per Star Wars, anch’io per parlare di Anakin Skywalker voglio partire dalla fine. Alzi la mano chi non ritenga che dopo la visione di ROTS, il momento della redenzione di Anakin non abbia assunto un importanza maggiore. La scena chiave di cui mi riferisco è ovviamente quella dell’omicidio di Mace Windu. È qui che il Cancelliere Palpatine porta a termine il suo piano di condurre Anakin al suo fianco. Per prima cosa rivela ad Anakin di essere lui l’oscuro signore dei Sith che stavano cercando e questo crea nel ragazzo un primo conflitto: comportarsi da Jedi e riferire tutto al Consiglio oppure seguire i suoi insegnamenti e salvare Padmé. Abbastanza sorprendentemente (per noi che conosciamo già tutto) Anakin sceglie di comportarsi da Jedi. Addirittura estrae la spada minacciando Palpatine. Così riferisce al Maestro Windu quello che ha scoperto e quest’ultimo, con altri tre Jedi e tenendo alla larga Anakin lo va ad arrestare. Questo è proprio quello che vuole Palpatine, che infatti è tranquillamente seduto in poltrona ad aspettare i Cavalieri. Ennesima dimostrazione di forza. Durante un velocissimo combattimento si libera subito con pochi rapidi fendenti dei tre Jedi e inizia a duellare con Windu. Nel frattempo Anakin è impegnato nel più duro combattimento che abbia mai affrontato. Quello contro se stesso. Un conflitto interiore che ci viene mostrato grazie a una bellissima scena di grande cinema come non se ne vedeva da tempo. Quella che vede Skywalker nella sala del Consiglio Jedi e in montaggio alternato Padmé a casa, con il sole che tramonta dietro i grattacieli di Coruscant tingendo di rosso il pianeta, il tutto accompagnato dal silenzio e da un leggero intervento in sottofondo di John Williams. È lì, poco prima di saltare a bordo dello speeder e raggiungere Palpatine che Anakin si rende conto che non può vivere senza Padmé e che ha bisogno del Cancelliere e dei poteri del Lato Oscuro. Arrivato nella sala del Cancelliere, Anakin si trova di fronte Windu e Palpatine in duello. Da una parte il cavaliere Jedi che più di tutti probabilmente simboleggia quella insicurezza e timore che il Consiglio (di cui è sempre più deluso) sente avere nei suoi confronti. E dall’altra quel nemico giurato che ha sempre promesso di combattere che però può avere con sé la chiave per cancellare per sempre le sue paure. In quella circostanza Anakin uccise Windu facendosi travolgere dai propri sentimenti e seguendo il Lato Oscuro. Arrivati alla fine del Film, ci ritroviamo ad assistere a una scena quasi identica. Palpatine, ormai Imperatore, sta colpendo a morte Luke con le saette e Darth Vader/Anakin assiste alla scena. Che cosa farà ora? È veramente passato del tutto al Lato Oscuro oppure quel poco di buono di cui parlavano Luke e Padmè è veramente ancora dentro di lui? E qui avviene la sua redenzione. Vader solleva l’Imperatore e lo scaraventa nel baratro. Padmè aveva ragione: Anakin non era stato ucciso del tutto da Vader, qualcosa di lui viveva ancora. Certo tutto questo lo intuivamo già guardando solo la VT ma ora tutto ha assunto un peso maggiore e la redenzione, quel gesto che ha portato equilibrio nella Forza è diventato ancora più liberatorio e importante. Leggendo alcune recensioni ho notato che qualcuno è rimasto un po’ sconcertato dal fatto che il motivo che porta Anakin a divenire Darth Vader sia l’Amore. In realtà non è l’amore in sé, ma la Paura. E qui “La Minaccia Fantasma” gioca un ruolo importante. Infatti è la paura di perdere la donna che ama, la paura di soffrire nuovamente, così come aveva sofferto anni prima per la morte della madre e in parte per quella di Qui-Gon Jin a farlo crollare. E non dite che Yoda non lo aveva avvertito. Nel I episodio infatti è il Maestro Jedi ad avvertire molta paura nel giovane e a metterlo (e a metterci) in guardia su essa: “Paura di perderla tu hai (riferendosi alla madre)” “Che c’entra questo con tutto il resto?” “Con tutto c’entra. La paura è la via per il Lato Oscuro. La Paura conduce all’ira, l’ira all’odio, l’odio conduce alla sofferenza. Io sento molta paura in te.” Ed è proprio quella paura di cui parlava Yoda che creerà il conflitto in Anakin e lo farà cadere nella trappola di Palpatine. Perché Palpatine gioca anche con i sentimenti del suo allievo. Sfrutta questa sua paura di soffrire a suo vantaggio facendogli credere che tramite il Lato Oscuro possa trovare il modo per strappare Padmé alla morte. In questo modo porta a termine il suo piano di distruggere i Jedi e di avere al suo fianco il più potente guerriero esistente. Il Darth Vader che conoscevamo nella VT quindi era solo un frammento di quello straordinario personaggio che è a tutti gli effetti il protagonista di Star Wars. Una profondità caratteriale e psicologica che non conoscevamo e che grazie ai primi tre episodi abbiamo per fortuna scoperto.

Ma le vicende di Anakin e il suo precipitare nel baratro, quasi fosse un angelo caduto, hanno permesso di dare maggior potenza e risalto anche a suo figlio, Luke Skywalker. Con grande abilità, infatti, Lucas getta Luke nelle stesse situazioni in cui si era trovato suo padre in passato. In questo modo ci troviamo a chiederci se anche Luke cederà al Lato Oscuro come Anakin. Entrambi hanno subito dolorose perdite, hanno lasciato Tatooine per “volare verso il cielo”, sono entrambi abili piloti e tutti e due perdono una mano durante uno scontro con le spade laser. E quell’arto mozzato ci porterà a chiederci superato metà Film se anche Luke sia destinato a seguire le orme del padre. Parallelismo tra i due che viene sottolineato anche dalla somiglianza delle loro vesti che sono entrambe nere e con un guanto dello stesso colore a coprire la mano meccanica. Luke cederà anche lui e il dubbio ci rimarrà anche fino alla fine di Sesto capitolo quando Luke si fa spingere dall’odio e attacca Vader, mozzandogli un braccio e urleremmo “No, non lo fare!!” Ci verrà da pensare che Palpatine abbia vinto ancora (perché ora sappiamo di cosa è capace l’Imperatore). Pensiamo che non c’è più niente da fare. Ma quando Luke spegnerà e getterà via la sua lightsaber dopo aver atterrato Vader e confermato la sua voglia di stare alla larga dal Lato Oscuro un grido di esultanza si alzerà dal pubblico che avrà appena terminato di godersi per intero Star Wars.

Per concludere, George Lucas ha regalato a noi e soprattutto alle generazioni future un epopea da altri tempi. L’unica avventura cinematografica che può essere messa a livello di capolavori immortali della letteratura del passato come l’Illiade o La Divina Commedia. Raccontandoci una favola piena di dramma, avventura, comicità, fantasia, sogni e amore. Una storia che è arrivato il momento di non vedere più come due singole trilogie da confrontare tra loro, o come 6 episodi da inserire in una classifica di gradimento, ma come quello che è realmente: un unico magico film. Un'unica straordinaria avventura che conduce grandi e piccoli in mondi lontani e fantastici a seguire le storie di personaggi senza tempo. E quando dal 19 Maggio 2005 il cerchio è stato chiuso, Star Wars è diventato più potente che mai.

domenica 1 febbraio 2009

"Il dubbio" di John Patrick Shanley


Teatro e cinema. Un binomio estremamente interessante e altrettanto, estremamente, pericoloso. Se manipolato male può risultare una lama a doppio taglio.
Teatro e cinema sono due arti che da sempre hanno battuto strade simili e a dire il vero, la settima arte nei suoi primi anni di vita aveva molto da assimilare dal teatro. I primi film infatti erano strutturati dai cosidetti tableau, ovvero lunghe scene senza stacchi (oggi li chiameremmo piani sequenza) che riprendevano gli attori recitare davanti a un fondale che riproduceva la location in cui si svolgeva la scena. Un po' quello che succede oggi nelle sit-com televisive, nelle quali la macchina da presa occupa la quarta parete di una stanza e gli attori si muovono come se fossero a teatro davanti a un pubblico.
Gli attori stessi di quei primi film venivano direttamente dal teatro, essendo fino a quel momento l'unica arte incentrata sulla rappresentazione.

Oggi il teatro si lega al cinema sotto vari punti di vista. A volte perchè i drammaturghi decidono di passare dai copioni teatrali alle sceneggiature cinematografiche, come Harold Pinter o David Mamet. A volte perchè le loro piece teatrali hanno talmente successo sulle assi di un teatro che si cerca di replicare tale successo anche sul grande schermo. Altre volte ancora è lo stile di un regista e la storia che vuole raccontare che si avvicina a una visione teatrale della messa in scena (da fan di Woody Allen penso ad esempio a "Settembre" o in generale ai film di Peter Greenaway).

Ovviamente teatro e cinema hanno forme e linguaggi diversi (anche se non totalmente diversi) ed è quindi necessario per chi scrive, dirige e recita, adattarsi al diverso mezzo comunicativo. Il lavoro svolto da John Patrick Shanley, vincitore del Premio Pulitzer proprio per il suo testo teatrale "Doubt", denota questo cambio di registro e mostra come l'autore, anche regista del film, abbia saputo lavorare bene anche con il mezzo cinema. In più di una occasione, Shanley ha utilizzato le immagini come mezzo narrativo, elemento caratteristico più del cinema che del teatro, soprattutto per delineare i personaggi. Come durante la scena della cena che vede le suore sedute intorno al tavolo. La figura di Sorella Aloysius viene messa a fuoco da due inquadrature, quella che la vedono aiutare una sorella passandogli la posata e quando, solamente con lo sguardo, rimprovera Sorella James di non sputare il boccone. Due inquadrature mute ma che ci permettono di conoscere qualcosa di piùdel carattere della preside. O quella folata di vento (il dubbio) a termine della cena, che smuove la tovaglia, simboleggiando che il dubbio, da quel momento si è insinuato nella sua vita. O come quando Padre Flynn passa sotto una vetrata che riproduce un occhio, l'occhio di Dio, come se il prete avesse paura di esser osservato e di non poter sfuggire al suo Signore. Ha qualcosa da nascondere?
Ecco Shanley è abile a istaurare il dubbio anche nello spettatore, quasi ci trovassimo difronte a un film giallo per scoprire chi è il colpevole e se un colpevole esiste davvero. Non lo sapremo mai, ci resterà per sempre il dubbio.

Ma chiaramente in "Il dubbio" resta forte l'impronta teatrale e in una scena in particolare, tale impronta si sposa magistralmente con il cinema. La scena è quella del primo incontro tra Padre Flynn, Sorella Aloysius e Sorella James. Al di là della recitazione dei due più bravi attori viventi in circolazione, il lavoro di Shanley è splendido e mi ricorda alcune sequenze dei film di Orson Welles dove la storia viene raccontata anche attraverso i movimenti degli attori e la loro posizione sul set.

La scena in questione si divide in tre parti, ognuna delle quali vede passare di mano in mano lo scettro del comando, rappresentato simbolicamente dalla poltrona della scrivania. La poltrona del Principale.
In un primo momento, nonostante quello sia l'ufficio di Sorella Aloysius, a sedersi alla scrivania è Padre Flynn, a sottolineare subito quale sia la gerarchia in campo. La preside della scuola comincia a parlare della recita di Natale, come pretesto per arrivare a introdurre il tema a lei caro: il rapporto di Padre Flynn con lo studente Donald Miller. In questo momento è quindi il prete a tenere le redini del gioco e infatti è lui a decidere quali saranno le canzoni da cantare alla recita.
La seconda parte vede l'inversione dei ruoli. I due si scambiano di posto, e mentre Flynn chiude la persiana, quasi volesse cancellare ogni possibilità di chiarezza, è Suor Aloysius a sedersi alla scrivania e a prendere in mano lo scettro del comando. Ora è lei che mette in imbarazzo il suo rivale accusandolo di aver avuto un comportamento ambiguo con uno degli studenti.
Shanley utilizza magistralmente lo spazio scenico per orchestrare il livello drammatico, intrecciando un dialogo che altro non è che un gioco del gatto col topo con continui cambi di ruolo. L'utilizzo della luce, del montaggio e delle inquadrature aiuta a dare alla scena il giusto pathos e livello drammatico, che aumenta sempre di più fino alla terza parte, quella della resa dei conti, o meglio delle apparenti chiarificazioni. Padre Flynn mette in campo la sua versione dei fatti, che convince Sorella James ma non la preside. Ora sono tutti in piedi, nessuno siede sulla poltrona, come se a questo punto tutti fossero allo stesso livello. Sorella James prova a chiedere ancora se può servire del the come gesto pacificatore, ma ormai la battaglia tra i due suoi superiori è iniziata e questa splendida scena ne ha dato il via.
I dialoghi sono ricchi di elementi che caratterizzano le battute e sottolineano le diverse caratteristiche dei personaggi e l'utilizzo che il regista fa della macchina da presa, dimostra quanto sia in grado di giocare con il mezzo filmico andando al di là di quello che è il suo testo teatrale.
Un film magnifico, diretto e recitato in maniera sublime. Un film verbale, dallo spiccato senso teatrale, ma che riesce a staccarsi anche dalle sue origini, sposandosi perfettamente con la macchina cinema.

CLICCA QUI PER VEDERE LA SCENA SOPRA DESCRITTA

"Sette anime" di Gabriele Muccino


Fa un po' tristezza pensare che l'emblema del cinema italiano all'estero sia Gabriele Muccino. Fa tristezza perchè il regista romano incarna quell'aspetto del fare cinema nostrano fatto di ovvietà, clichè, buoni sentimenti e facili agganci sul pubblico, ma assolutamente privo di originalità, coraggio e arte. "L'ultimo bacio" e "Ricrodati di me" raccontano i soliti drammi familiari, banali e già visti, con dialoghi scontanti e i classici elementi per far breccia nello spettatore, come le scene dal forte pathos fatte di urla, lacrime, corse a perdifiato (preferibilmente sotto la pioggia) e via dicendo. Senza dimenticare le squallide fotografie generazionali dei trent'enni di oggi.
Anche il primo film a Hollywood di Muccino è risultato un lavoro ruffiano, senza rischi, e per questo sicuro che non avrebbe avuto nessuna difficoltà a incassare grosse cifre al botteghino. Buoni sentimenti, lacrima facile, la lotta testarda di uomo comune per difendere suo figlio e il suo futuro.

Non colpisce quindi più di tanto che anche "Sette anime", traduzione riveduta e corretta dell'originale "Sette Libbre" di shakespiriana memoria, sia un prodotto confezionato ad hoc per far breccia nel cuore della massa. Primi piani stretti, sguardo perennemente imbronciato di Will Smith, corse a perdifiato (toh, guarda, la pioggia), dolore, amori interrotti e malattie terminali.
La struttura narrativa che mantiene fino all'ultimo il segreto sulle motivazioni che spingono il protagonista ad aiutare il prossimo, avrebbe l'intento di portare lo spettatore a seguire fino alla fine la storia, come se si trattasse di un giallo da risolvere e probabilmente a infondere quel briciolo di originalità alla pellicola. L'obiettivo però fallisce miseramente perchè in realtà l'arcano viene svelato a metà film non appena si vede l'articolo di giornale che riporta l'incidente nel quale sono morte 7 persone. Quindi anche quello che poteva essere un elemento di interesse per il film, finisce per essere mal gestito e anzi controproducente. Ma è tutta la sceneggiatura ad apparire debole. Apparte i già ripetuti clichè del genere drammatico a cui si aggiunge la classica storia d'amore impossibile (con tanto di scena a letto dove i due protagonisti si raccontano desideri e sogni di un loro futuro che sanno non arriverà mai) si aggiungono dialoghi piatti, scontati e schifosamente melensi.

Insomma si salva ben poco di questo polpettone strappa cuore. Forse l'unica nota positiva va a Rosario Dawson, anche se il suo personaggio e la piattezza della sceneggiatura non la aiutano più di tanto a distaccarsi dalla banalità che riempie l'intero film. Da bocciare invece Smith in una delle più ruffiane interpretazioni della sua carriera, sempre alla ricerca dello sguardo più sofferente e addolorato che possiede.
E la regia di Muccino si conferma per quello che è. Certo gli va dato merito di essere arrivato dove tutti i registi (e non solo) europei sperano di arrivare un giorno, e gli va dato merito di aver adattato la sua regia agli stilemi del cinema a stelle e strisce. Peccato però che tutto questo finisca per dare risultati mediocri e non è un caso che negli States "Seven Pounds" sia stato definito il film più brutto del 2008.
Un film fatto unicamente per un pubblico dalla lacrima facile che non ricerca nulla di più da un film.