venerdì 26 settembre 2008

"Burn After Reading" di Ethan e Joel Coen

Premessa: faccio molta fatica a commentare film di registi che adoro. Proprio perchè la stima che ho nei loro confronti non mi permette di essere obiettivo o di analizzare in profondità il film. Per questo ci sono molti film che non inserisco nel blog perchè sarebbero brevi post pieni di elogi e basta. La stessa cosa avviene con i film dei fratelli Coen. Quindi se questo post è poco critico e forse abbastanza inutile, io ve l'ho detto.


Se questo film fosse stato una boiata pazzesca, il titolo, ovviamente quello originale non quello nostrano (quello si che è una boiata) si sarebbe potuto ritorcere contro. Bruciare dopo averlo visto. Per fortuna "Burn After Reading" è tutto tranne che un film da bruciare, anzi.

C'era un po' di timore, tra gli addetti ai lavori, dopo il successo di "Non è un paese per vecchi". Il timore era che i due fratelli potessero seguire la strada "facile" del film fotocopia, puntando sugli elementi di forza che hanno decretato il successo del precedente lavoro. E' un po' quello che la gente si aspettadopo un successo. Era così anche per Tarantino dopo "Pulp Fiction", mentre lui spiazzò tutti creando "Jackie Brown" un film "tarantiniano" ma per molti versi diverso dal vincitore della Palma d'Oro. Il timore però, per chi conosce bene Joel e Ethan Coen, era insensato. I Coen sono registi troppo intelligenti per farsi prendere dall'entusiasmo del successo e perdere la propria originalità. Infatti, ecco "Burn After Reading". Forse insieme ai due vincitori dell'Oscar, "Fargo" e "Non è un paese per vechi" uno dei loro film più belli e riusciti.
Al di là della presenza di star mediatiche come Clooney, Pitt e Malkovic (per la cronaca ottimo cast, ad eccezione della Swinton) quello che mi affascina del film, e che mi fa amare i Coen è la straordinaria qualità tecnica con la quale è realizzato. E' raro in una commedia, a tratti demenziale come questa, vedere inquadrature così perfette e giochi di stili che fanno il verso (senza parodiare però) i clichè dei classici film di spionaggio. I Coen hanno l'innata capacità di fondere insieme talento visivo e originalità narrativa.
La loro fusione di comicità e violenza, di dramma e grottesco, senza rendere nessuno di questi aspetti eccessivo o inutile, non ha eguali.

Con "Burn after reading" i Coen hanno dimostrato ancora una volta di essere autori di grande intelligenza ed estremo talento. Capaci di dar vita a personaggi unici e a intrecci e situazioni che spiazzano e sorprendono continuamente.

Pitt che arriva all'incontro in bicicletta con mp3 nelle orecchie è geniale. Una inquadratura e il personaggio di Chad è perfettamente delineato. Così come i gesti e le espressioni di Malkovic a inizio film che definiscono subito la personalità di Cox.
E poi le citazioni, da Clooney che corre intorno al lago come Dustin Hoffman in "Il maratoneta" con tanto di ripresa laterale, nascosta e in ombra del personaggio che si guarda intorno, tipica dei film di spionaggio, all'autocitazione di Cox che uccide a colpi di accetta come Peter Stormare in "Fargo".
I Coen creano dei deficienti assoluti e li inseriscono in un contesto serio, reinventando un genere e paradossalmente, rendendo la storia più reale di un filmdrammatico, un po' come fece Kubrick dando il destino del mondo in mano ai pazzi imbecilli de "Il Dr. Stranamore".

domenica 7 settembre 2008

"Kung Fu Panda" di Mark Osborne


Viene spontaneo, nel cinema, fare paragoni. Specialmente quando in un genere, un contesto, una storia analoga si muovono due realtà differenti. Così viene spontaneo fare paragoni quando ci si trova davanti a un remake, oppure quando due registi affrontano lo stesso tema in due opere differenti. Oppure quando un genere, come il film d'animazione, vede scontrarsi due giganti come la Dreamworks e la Pixar. Una sfida ideale per chi vuole cimentarsi in inutili, quando inevitabili, chiacchere da bar.
L'uscita del nuovo film della casa di produzione spielberghiana e l'imminente uscita dell'atteso Wall-e ci portano a fare distinzioni tra i due differenti approcci all'animazione scelti dalle due case.
"Kung Fu Panda" segna un'altro punto a favore della Pixar. Che si dimostra ancora una volta su un'altro pianeta rispetto alla Dreamworks. Non tanto per la qualità dell'animazione, ma per quanto riguarda la trama, l'umorismo e la poesia che ci mette per raccontare le sue storie. Il film sul panda guerriero è sì divertente, ma è estremamente banale e infantile. Le risate arrivano solo quando il panda cade, rimbalza, si schianta contro il muro, si fa male, prende botte o si ingozza di cibo. Una comicità che dovrebbe essere slapstick ma che finisce per essere vecchia e priva di originalità. La mimica di Linguini in "Ratatouille" è veramente tutt'altra cosa.
Qualche battuta divertente c'è ma è poca cosa rispetto al resto del film.
Anche personaggi e trama sono scontanti, pieni zebbi di clichè triti e ritriti del genere arti marziali dall'addestramento, alla profezia millenaria, dall'ex allievo divenuto cattivo all'infinita scalinata del tempio. Non manca neanche il saggio maestro che morendo si dissolve e raggiunge il firmamento (ci mancava che alla fine le stelle disegnassero il suo viso ed eravamo apposto).

Ormai alla Dreamworks hanno rinunciato a spingersi più in là, a osare e si divertono a creare film per ragazzini o adolescenti che ridono con poco e lasciano la poesia, la creatività e i rischi alla Pixar che quest'anno addirittura ci propone un film d'animazione in gran parte muto. Quindi niente botte, smorfie o flatulenze.
Sono in trepidante attesa.