Paolo Sorrentino è un fautore dell'estetica cinematografica, uno che fa del suo stile, unico e originale, uno dei pilastri portanti delle sue opere. Un regista che sà usare la macchina da presa, sà come muoverla al servizio della su storia e dei suoi personaggi. Un autore che riesce a raccontare l'Italia e gli italiani, senza mai parlare direttamente dell'Italia e degli italiani.
Anche "Il divo", film che tratta la vita di Giulio Andreotti dal suo settimo mandato come Presidente del Consiglio fino all'inizio del processo di Palermo, è un film sul "teatrino della politica" come lo ha definito lo stesso Sorrentino, ma che in realtà non parla direttamente di politica.
"Se non puoi parlare bene di una persona: non parlarne" dice la citazione iniziale. E come è possibile parlar bene di un personaggio come Andreotti? Come raccontare la sua vita senza dare giudizi, senza cadere nella propaganda politica? Sorrentino ci riesce. E per farlo trasforma Andreotti in un personaggio cinematografico. Non nel senso che lo reinventa, cancellandogli i tratti distintivi reali, ma bensì estrapolandolo dal contesto politico-televisivo nel quale siamo abituati a vederlo, e sottolineando quei tratti distintivi, osservandolo con gli occhi di un narratore, di un regista.
Quello che penso affascini Sorrentino dell'attuale Senatore a vita non sia solo la sua storia politica e i misteri che ad essa sono legati, bensì Andreotti come personaggio di un film. L'aspetto fisico, la camminata, il modo di muoversi e parlare, la sua intelligenza e il senso dell'umorismo, così tagliente e raffinato, la totale assenza di espressioni ed esternazione dei sentimenti, il suo amore incondizionato per la moglie, il tutto unito a quelle 7 presidenze del Consiglio, i 22 incarichi da Ministro, i sospetti legami con la mafia e la partecipazione diretta, anche qui mai dimostrata, a numerosi omicidi negli anni '70 e '80 che contrasterebbero fortemente con la sua pacatezza e tranquillità esteriore. Tutti elementi che farebbero la fortuna di un personaggio di fantasia, se non fosse che quel personaggio esiste già ed è assolutamente reale.
Sorrentino inquadra Andreotti senza mai inoltrarsi nei meandri della politica, senza raccontare aspetti della sua vita pubblica che già non si conoscono, ma guardandolo come un personaggio grottesco, quasi buffo, che nella sua involontaria simpatia, mette i brividi. Certo, il film non propone una immagine positiva di Andreotti, non ne fa una vittima innocente della Giustizia, ma nello stesso tempo non lo accusa direttamente. Non lo vediamo mai ordinare un omicidio, e ad eccezione dell'incontro con Riina, non sono molti i suoi colloqui incriminanti. Questo non perchè Sorrentino ritenga Andreotti innocente o perchè abbia timore ad attaccarlo, ma perchè vuole che sia lo spettatore a giudicare e perchè vuole dare al Divo una impronta grottesca.
E' proprio il grottesco la chiave di lettura del film. Già dalle prime scene, che vedono il protagonista prima con il volto coperto di aghi nell'intento di cancellare l'emicrania che lo perseguita, e poi sulla cyclette mentre pedala nella penombra, o ancora la presentazione della "corrente andreottiana" con quella camminata verso la mdp in rallenty che ricorda quella delle iene terantiniane, si capisce la volontà del regista di "Le conseguenze dell'amore" di non realizzare la solita banale fiction su un un frammento di Storia d'Italia, ma creare puro Cinema trasformando un uomo politico in un personaggio. E' la consapevolezza che quel personaggio è reale a creare la morale dell'opera.
Il difetto del film, forse sta nella durata, quasi due ore. Questo perchè, l'intento di raccontare il "personaggio-Andreotti" comporta la mancanza di una storia vera e propria, di una trama con un obiettivo finale, con uno scopo da raggiungere per il protagonista. Questo va benissimo, ma inserito in 110 minuti di film, finisce per stancare un po' lo spettatore che, incantato dal talento di Sorrentino finisce per domandarsi quando si entrerà nel vivo della storia. Ma non c'è una storia, una trama, non c'è neanche un finale in effetti.
La trama del film è Andreotti.
Due parole per Toni Servillo che continua la sua collaborazione con il regista napoletano e che come sempre lascia il segno con una interpretazione superlativa, nascondendosi dietro il personaggio e recitando con il corpo, (attraverso gesti controllati e mimiche da attore comico) e con la voce (controllata e cadenzata ma capace di esplosioni staordinarie come nella scena della preghiera-confessione) in un modo sublime. Attualmente il migliore atore italiano e non solo.
2 commenti:
Com'è che postiamo tutti su questo film?
Con stima.
Rob.
Che ci vuoi fare...sono le conseguenze dell'amore verso un grande regista.
Un genere sfruttatissimo in Italia che Sorrentino affronta con una originalità secondo me unica.
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