lunedì 1 dicembre 2008

"Il circo" di Charlie Chaplin

Non ho mai provato una sensazione di tristezza tale come quando guardo i film di Chaplin. Può sembrare un paradosso, ma la straordinaria capacità che aveva di passare da una gag comica che ti fa piegare dalle risate alla sequenza più malinconica e triste era straordinaria.
E poi, Chaplin era la vera essenza dell'Artista, nel significato più accademico del termine. Colui che osserva la realtà e attraverso il suo talento la filtra e la ripropone al pubblico sotto forma di film, romanzo, quadro, musica, fotografia per mostrare quello che gli altri non hanno visto, per far chiarezza su quello che ci circonda.
"Il circo" è uno di quei film che contiene al suo interno tutto Chaplin e forse qualcosa di più. C'è la sua comicità, c'è la sua presenza scenica, c'è la sua malinconia, la sua dolcezza, il suo talento creativo dietro la macchina da presa. Ci sono persino le sue musiche e la sua voce, nella canzone che scorre sopra i titoli di testa.
Nel suo continuo pellegrinare per il mondo, o meglio nel suo continuo fuggire dalle autorità, il vagabondo questa volta si ritrova all'interno di un circo, dove suo malgrado diventa protagonista di un numero di clown, fino a quel momento per nulla divertente, che proprio grazie alla presenza di Charlot finisce per diventare il clou dello spettacolo. Per questo motivo, il tramp verrà assunto e potrà vedere di persona il meschino e violento mondo del circo. La stella che si rompe in apertura di film e la porta che si apre e che in tutta la sua forza e gioia ci proietta nel magico mondo del circo. Mondo che dopo pochi istanti scopriamo essere tutto fuorchè magico. E' un mondo violento, assurdo e selvaggio. Fatto di padri padroni, talenti sfruttati, meschinità, sotterfugi e follie. Insomma il circo assomiglia moltissimo al nostro mondo, alla nostra società.
Charlot vi si trova catapultato dentro e finisce incastrato negli ingranaggi della società, come ai tempi di..."Tempi Moderni".

Emblematica la scena del numero sulla fune. Charlot viene costretto dal direttore del circo a fare qualcosa per cui non è portato, finisce letteralmente per mettere la sua vita in equilibrio su un filo, con l'assurdità e la follia del mondo (le scimmie) che lo tartassano, cercano di farlo fallire. Lui si ritrova senza più niente, resta in mutande addirittura e alla fine, grazie alle sue capacità riuscirà a salvarsi. Una scena che sintentizza perfettamente il pessimismo con il quale Chaplin guardava il mondo che lo circondava, quella società fatta di padroni disposti a lasciarti in mutante per non fallire, ma dalla quale solo gli artisti, con il loro talento sono in grado di salvarsi.
Splendide anche la famosissima sequenza della stanza degli specchi, (manifesto della meticolosità con cui Chaplin studiava le sue gag nelle quali tutto era calcolato alla perfezione), la scoperta da parte di Charlot dell'amore della ragazza per Rex e relativo crollo delle sue speranze e dei suoi sogni (questa è una di quelle straordinarie sequenze malinconiche dei suoi film) e il finale. Su un prato vuoto, al centro del cerchio lasciato dal tendone sull'erba, Charlot, dopo aver lasciato andar via il suo amore, resta lì, con la stella di carta in mano che appollottola e calcia via, lasciandosi alle spalle quel mondo e riprende il suo cammino verso l'infinito, da solo, ma ancora puro.

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