martedì 19 febbraio 2008

"4 mesi, 3 settimane e 2 giorni" di Cristian Mungiu


Forma al servizio della storia. Il "come" a sostegno del "cosa".

Le scelte registiche di Cristian Mungiu per portare in scena il suo "4 mesi, 3 settimane e 2 giorni" riflettono quella logica cinematografica per cui lo stile, l'immagine, il vestito del film deve essere adattato alla storia che si racconta, al fine di enfatizzarne il messaggio.

Camera a mano, piani sequenza, fuori campo. Sono questi gli elementi scelti dal regista per narrare una storia fredda e cruda, fatta di scelte difficili e di difficili conseguenze da sopportare.

Storia fredda e cruda quindi, e tale è anche la regia. Niente virtuosismi, nessuno spazio alla bellezza estetica ed anzi, un pizzico di docu-fiction con la camera che segue costantemente la protagonista senza mai staccare. Come nelle lunghe scene di dialogo in cui la macchina da presa rimane immobile, così come i personaggi, sempre fermi nelle loro posizioni per lunghi minuti. Utilizzare il pianosequenza per riprendere scene di dialogo viene usato abbondantemente anche da Woody Allen. Ma lì, nella maggior parte dei casi gli attori spesso e volentieri si muovono, si agitano, entrano ed escono dal campo dando comunque dinamicità alla sequenza.

Qui invece tutto è estremamente freddo, proprio per adattarsi al clima della storia, per sequire la vicenda.

Il risultato è quello di un film che non commuove mai lo spettatore. La storia si lascia seguire bene e fino alla fine restiamo incollati allo schermo, proprio per via di quell'effetto quasi ipnotico creato dalla mdp, però non riusciamo mai a provare nulla. E una volta tanto non credo che la colpa sia da attribuire alla sceneggiatura, bensì, proprio alle scelte di Mungiu, che diventano esageratamente rendendo la pellico asettica quando gli strumenti utilizzati dal medico per compiere l'aborto.

Anche la sequenza della cena a casa dei suoceri finisce per essere lunga e noiosa, senza riuscire a dare nulla di più alla storia. L'intento sarebbe quello di creare suspance in attesa di avere notizie sulle condizioni dell'amica e Mungiu ci prova inserendo quel telefono che comincia a squillare senza che nessuno vada a rispondere. Peccato però che tale stratagemma finisce subito e la cena riprende con il suo inutile chiacchericcio.

Un film comunque che non può essere definito brutto, ma che di certo lascia un po' a desiderare e che sicuramente non meritava la Palma d'Oro assegnatali a Cannes.

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