domenica 1 febbraio 2009

"Sette anime" di Gabriele Muccino


Fa un po' tristezza pensare che l'emblema del cinema italiano all'estero sia Gabriele Muccino. Fa tristezza perchè il regista romano incarna quell'aspetto del fare cinema nostrano fatto di ovvietà, clichè, buoni sentimenti e facili agganci sul pubblico, ma assolutamente privo di originalità, coraggio e arte. "L'ultimo bacio" e "Ricrodati di me" raccontano i soliti drammi familiari, banali e già visti, con dialoghi scontanti e i classici elementi per far breccia nello spettatore, come le scene dal forte pathos fatte di urla, lacrime, corse a perdifiato (preferibilmente sotto la pioggia) e via dicendo. Senza dimenticare le squallide fotografie generazionali dei trent'enni di oggi.
Anche il primo film a Hollywood di Muccino è risultato un lavoro ruffiano, senza rischi, e per questo sicuro che non avrebbe avuto nessuna difficoltà a incassare grosse cifre al botteghino. Buoni sentimenti, lacrima facile, la lotta testarda di uomo comune per difendere suo figlio e il suo futuro.

Non colpisce quindi più di tanto che anche "Sette anime", traduzione riveduta e corretta dell'originale "Sette Libbre" di shakespiriana memoria, sia un prodotto confezionato ad hoc per far breccia nel cuore della massa. Primi piani stretti, sguardo perennemente imbronciato di Will Smith, corse a perdifiato (toh, guarda, la pioggia), dolore, amori interrotti e malattie terminali.
La struttura narrativa che mantiene fino all'ultimo il segreto sulle motivazioni che spingono il protagonista ad aiutare il prossimo, avrebbe l'intento di portare lo spettatore a seguire fino alla fine la storia, come se si trattasse di un giallo da risolvere e probabilmente a infondere quel briciolo di originalità alla pellicola. L'obiettivo però fallisce miseramente perchè in realtà l'arcano viene svelato a metà film non appena si vede l'articolo di giornale che riporta l'incidente nel quale sono morte 7 persone. Quindi anche quello che poteva essere un elemento di interesse per il film, finisce per essere mal gestito e anzi controproducente. Ma è tutta la sceneggiatura ad apparire debole. Apparte i già ripetuti clichè del genere drammatico a cui si aggiunge la classica storia d'amore impossibile (con tanto di scena a letto dove i due protagonisti si raccontano desideri e sogni di un loro futuro che sanno non arriverà mai) si aggiungono dialoghi piatti, scontati e schifosamente melensi.

Insomma si salva ben poco di questo polpettone strappa cuore. Forse l'unica nota positiva va a Rosario Dawson, anche se il suo personaggio e la piattezza della sceneggiatura non la aiutano più di tanto a distaccarsi dalla banalità che riempie l'intero film. Da bocciare invece Smith in una delle più ruffiane interpretazioni della sua carriera, sempre alla ricerca dello sguardo più sofferente e addolorato che possiede.
E la regia di Muccino si conferma per quello che è. Certo gli va dato merito di essere arrivato dove tutti i registi (e non solo) europei sperano di arrivare un giorno, e gli va dato merito di aver adattato la sua regia agli stilemi del cinema a stelle e strisce. Peccato però che tutto questo finisca per dare risultati mediocri e non è un caso che negli States "Seven Pounds" sia stato definito il film più brutto del 2008.
Un film fatto unicamente per un pubblico dalla lacrima facile che non ricerca nulla di più da un film.

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