domenica 9 dicembre 2007

"Il nascondiglio" di Pupi Avati

Le luci si spengono e sullo schermo cominciano a comparire i titoli di testa del film. In sottofondo un tappeto pungente di archi, un misto tra L'esorcista e Lo squalo. Il solito brano horror-style. Il presentimento che stiamo per vedere il solito film horror senza un briciolo di originalità è già nell'aria.
Al termine della proiezione il presentimento diventa certezza. A detta dello stesso Avati, questo film aveva il solo scopo di spaventare il pubblico. Missione fallita. Non solo il film non spaveta, ma ad essere sinceri è difficile anche definirlo un film dell'orrore. Per tutta la pellicola, la protagonista, dopo essersi resa conto che la maestosa e spettrale villa che ha affittato per trasormarla in un ristorante è stata teatro, cinquant'anni prima di un atroce pluri-omicidio e, soprattutto, che lei non è l'unica inquilina della dimora, inizia ad indagare per capire che cosa è accaduto realmente e che fine hanno fatto le due ragazze accusate dell'omicidio che sembrano essere sparite nel nulla. E per questo non fa altro che andare in giro a fare domande a destra e a manca agli abitanti della cittadina, fino a scoprire qualcosa (ovvero che le due ragazze non hanno in realtà mai abbandonato la villa e che vivono da anni nascoste nel condotto d'areazione) che il pubblico ha già capito dall'inizio del film. Anzi da prima ancora. Bastava infatti guardare il trailer per capire che "qualcuno" si nascondesse in casa e poi d'altronde da un film che s'intitola "Il nascondiglio" che puoi andare a pensare? O Avati ci ha presi per fessi o lui di horror non è capace di girarne.

Visto che ad eccezzione della voce spettrale dell'unica ex-ragazza sopravvissuta (ormai ha circa 70 anni) che in piena notte riempie le stanze della villa svegliando la povera Laura Morante e delle atmosfere gotiche (i saloni della villa sono perennemente immersi nella penombra), di horror in questo film non c'è una mazza.

La Morante è brava (e questo si sà) ma il doppiaggio che ha fatto a se stessa (in originale infatti recita in inglese) è freddo ed "estraneo" alla vicenda.

In conclusione Avati riprende lo stra-abusato tema della casa infestata inserendoci di originale il solo fatto che la casa in realtà non è infestata, visto che di fantasmi qui non vi è ombra e che invece la "presenza" che la abita è un essere umano in carne e ossa anche se ormai abituato a vivere come un topo strisciando tra le pareti. L'idea della donna che negli anni si è abituata a vivere nei condotti di areazione trascinandosi dietro il fagotto che racchiude il corpo putrefatto della vecchia amica è sicuramente vincente, ma doveva essere il punto di partenza della storia, non la risoluzione finale del mistero, anche perchè, ripeto, è un mistero che lo spettatore ha già risolto prima ancora che gli archi riempiano i titoli di testa.

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