domenica 16 marzo 2008

"Onora il padre e la madre" di Sidney Lumet

Animale bizzarro l’essere umano. Ha il potere immenso di distruggere qualunque cosa. Compresa la propria vita. E per farlo non ha bisogno di armi, guerre o violenza. Gli basta fare delle scelte. Fa una scelta sbagliata ed è come se premesse uno di quei bottoni rossi delle astronavi, quelli che provocano l’autodistruzione della navetta. Lo premi e inneschi una reazione a catena che distrugge tutto quello che hai.
I due fratelli di “Before the devil knows you’re dead” fanno una scelta, quella di risolvere tutti i loro problemi economici con una rapina. Ed ecco che il pulsante viene premuto e le loro vite vanno in frantumi e lentamente scivolano verso l’inferno in una caduta senza fine nella quale trascinano anche i loro genitori, la donna che amano e chiunque gli capiti davanti. L’unico augurio che gli si può fare è davvero di raggiungere il paradiso mezz’ora prima che il diavolo si accorga che sono morti. Ma è stata davvero quella la scelta scatenante? No. Se torniamo indietro vedremo che la loro vita, così come la nostra, è stata condizionata da molte di queste scelte sbagliate. E non solo dalle loro.

C’è una definizione riguardo agli scrittori noir, che dice che gli autori di noir sono coloro che, torcia alla mano, entrano negli angoli più bui, paurosi e nascosti delle cose e poi tornano in superficie e ci raccontano quello che hanno visto. Sidney Lumet fa proprio questo. Esplora l’animo più cupo e crudo dell’uomo. Ne osserva il dolore, i sensi di colpa, la pazzia. Ci mostra la spirale di distruzione nella quale sono caduti i protagonisti del film, per via delle loro scelte sbagliate. Non è un’analisi ottimistica dell’essere umano, quella di Lumet, ed è interessante osservare come a 83 anni, il maestro di Philadelphia non abbia di certo addolcito la sua visione del mondo e dell’America. Per raccontarci tutto questo si avvale di una struttura a puzzle, spesso più adatta per esplorare che per entusiasmare. E’ un rischio perché proprio per via della sua natura a incastro ogni nuovo segmento viene visto dallo spettatore come una nuova fonte d’informazione, all’interno di in una indagine che rischia di risultare fredda, quasi come un rebus da risolvere. Lumet, invece, riesce con l’avanzare della pellicola a far alzare il ritmo e soprattutto a prendere il pubblico e a farlo emozionare. E specialmente quando si comincia a mostrare il vero dolore e i veri sentimenti di Andrew, fino ad allora mostrato come distaccato calcolatore e del quale ora invece salta fuori tutta la sua fragilità, sia psichica che emotiva. E Philip Seymour Hoffman è perfetto (come al solito) nel dar vita a questa mutazione che sfocia nella follia più disperata.

Inoltre è proprio Andy il protagonista di alcune delle sequenze più belle del film. Come la prima visita allo spacciatore e quel piano sequenza che lo segue all’interno dell’appartamento. Un appartamento che è quasi un limbo dove stazionano le anime dei peccatori e che segna, per Andy, l’inizio della sua fine. Quasi si trattasse di un simbolico funerale con un’ultima ammissione dei propri peccati.
Splendida anche la morte di Andy, non solo per lo sguardo di Albert Finney che sembra più che un peccatore prossimo a incontrare il diavolo, un uomo che il diavolo lo conosce già bene. Due uomini. Due cuori che battono all’unisono e nel quale scorre lo stesso sangue e che in un modo o nell’altro si sono uccisi a vicenda.

Non è certo ottimistica l’immagine che Lumet ha dell’uomo. Punta il suo sguardo sul suo lato più nero e cancella ogni briciolo di speranza. Forse il film non è un concentrato di innovazione, ma la forza con cui questi eventi ci vengono raccontati è indubbiamente magistrale. Alcune recensioni che ho letto utilizzano tutti il termine “fisicità”. Non posso che essere d’accordo con questa definizione. È un film “fisicamente umano” e pregno di una umanità fisica, tangibile.

Nessun commento: