lunedì 10 marzo 2008

"Fahrenheit 451" di Françoise Truffaut


Una società che ha dichiarato guerra ai libri e automaticamente alla cultura, al sapere e all’arte. Una società i cui pompieri, invece che spegnere incendi, li provocano gettando al rogo proprio quei ricettacoli di malessere che sono i libri.
Non poteva che essere un regista francese, a portare sullo schermo il romanzo di Bradbury, uno di quei intellettuali della Nouvelle Vague, spesso protagonisti di rivolte e manifestazioni in nome della libertà di pensiero. E tra tutti loro non poteva che essere Françoise Truffaut ha prendere in mano la trasposizione del fantascientifico “Fahrenheit 451”.
Leggere nella stessa frase le parole Truffaut e fantascienza provoca un momento di smarrimento per quanto siano lontani dal fantastico le opere del regista francese. Ma “Fahrenheit 451” non è un film di fantascienza anche se ambientato in un futuro imprecisato. Infatti, così come accade per l’“Arancia Meccanica” di Kubrick, gli eventi sono trasportati in là nel tempo per poter meglio raccontare il presente.
Quello che infatti sta a cuore a Truffaut non è raccontare una storia fantasiosa sul nostro futuro, ma denunciare lo stupro che la società moderna compie nei confronti della cultura. E ai giorni nostri, in Italia, siamo più che mai testimoni di questa lenta cancellazione della cultura e dell’arte a discapito di una ignoranza ostentata come status-symbol.
“Fahrenheit 451” è una storia di uomini e di ricordi del passato. Gli uomini e i ricordi che riempiono le pagine dei libri e che Montag cerca disperatamente di comprendere e fare suoi, per potersi mettere in pari con l’umanità che lo ha preceduto. “Devo mettermi in pari con i ricordi del passato” così dice Montag alla moglie e questa frase ben sintetizza quello che è capitato alla società futurista del film, ovvero essere arretrata rispetto al passato. È il futuro ad essere indietro, a dover accelerare il passo per raggiungere il passato e tornare ad essere “membri della razza umana” come diceva il Professor Keating in “L’attimo fuggente”.

Da un punto di vista tecnico Truffaut non si allontana poi molto dallo stile registico dei tempi della Nouvelle Vague. Non è mai stato un regista così sperimentale, come al contrario era Godard, e anche in un film come questo, ambientato nel futuro, Truffaut mantiene sempre in primo piano i personaggi e i loro sentimenti più che le avveniristiche macchine del futuro e non si lascia andare ad arditi sperimenti visivi. È la sua sensibilità che porta il film ad un piano più attuale, sottolineando un dramma che oltre che sociale è anche, se non soprattutto umano (dell’uomo come persona e come essere umano).
Truffaut strizza l’occhio al maestro Hitchcock un paio di volte, come nella scena dell’incubo di Montag che sembra uscita da “Vertigo” o come quando l’ex-pompiere cerca di impossessarsi della scheda su Clarisse entrando di nascosto nell’ufficio del Capitano.
Gli insistiti primi piani ai libri che vengono ammassati sul pavimento, mentre vengono bagnati con la benzina o mentre bruciano, mostra l’attaccamento di Truffaut per i libri e il suo tentativo di paragonare la loro distruzione a un genocidio compiuto sul genere umano. “In ogni libro c’è dietro un uomo”, ed ecco che i pompieri finiscono per commettere un vero e proprio omicidio di massa, distruggendo quelle memorie, quei ricordi e quelle persone che Montag cerca di riportare in vita.

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