venerdì 14 marzo 2008

"Sleuth" di Kenneth Branagh


Quando si parla di binomio tra cinema e teatro, il nome che salta subito alla mente, almeno per quel che riguarda il cinema contemporaneo è quello di Kenneth Branagh. Siamo abituati a vedere le sue bellissime trasposizioni filmiche delle opere di William Shakespeare e anche quando si cimenta con storie moderne, la componente teatrale non manca di certo. Come in "Sleuth" che guarda caso nasce da una pièce teatrale firmata Anthony Shaffer. Il film è idealmente diviso in tre parti o sarebbe meglio dire, in tre atti. Al centro della storia vi sono solo due personaggi, il ricco e calcolatore scrittore di romanzi Andrew Wyke e lo squattrinato e folle parrucchiere/attore/autista Milo Tindle. Tutto il film è una sfida tra i due, un duello di malignità e intelligenza dove in ogni istante le parti si invertono, lo scettro del comando passa di mano in mano, colui che prima era il gatto ora diventa il topo, ma basta attendere qualche minuto e le carte in tavola cambiano ancora e alla fine, nel terzo atto non sai più chi sta manipolando chi. Oggetto del contendere è una donna, o almeno così è all'inizio, poi entrano in gioco l'orgoglio, la vendetta, il divertimento, il machismo.
A sostenere questo duello psicologico (e non solo) è la splendida sceneggiatura di Harold Pinter che con i suoi dialoghi e i cambi di tono dirotta il film dal dramma alla commedia, dal thriller al grottesco. I dialoghi sono ricchi di sottintesi, di elementi nascosti che esaltano questo gioco di ruolo e di ruoli e che permettono al film di regalare sempre qualcosa di nuovo allo spettatore visione dopo visione. Così come solo i grandi film riescono a fare.

La sfida però non è solo tra Andrew e Milo, ma anche tra i due attori che, rubando un'espressione teatrale, reggono il palcoscenico da soli per gli 87 minuti di spettacolo. Michael Caine aveva già interpretato il primo "Sleuth" quello datato 1972, ma in quel caso vestiva i panni di Milo, mentre adesso tocca a lui trasformarsi nel giallista milionario. Parlare del suo talento è superfluo. Caine è un mostro sacro del cinema e del teatro e la capacità con cui cambia registro in una frazione di secondo semplicemente con uno sguardo è una lezione di recitazione sublime. Accanto a lui troviamo Jude Law (che per la seconda volta interpreta un ruolo che in passato era stato di Caine, così come accadde con il remake di "Alfie"), colui che ha voluto fortemente realizzare questo film e che senza ombra di dubbio mette in scena la sua migliore interpretazione di sempre. Ingenuo e spaventato prima, psicopatico e determinato poi.

Ed è proprio qui che sta la forza del film, in questo continuo cambio di ruoli, di registro, in questo gioco sottile e malvagio tra i due protagonisti, un gioco fatto di bugie, di battute taglienti, di colpi di scena e colpi di pistola. Branagh lavora alla storia come se si trovasse di fronte a un dramma del "Bardo" ma catapultato nel Duemila. "Sleuth" è un film dalle mille facce che cambia strada di continuo. Lo fanno i protagonisti, lo fanno i dialoghi di Pinter, lo fa la fotografia e la scenografia che mutano e si trasformano di continuo e lo fa anche la regia di Branagh. Alterna primissimi piani, che cercano di scrutare l'animo vero dei protagonisti, a campi lunghi che alleggeriscono la tensione, pronto però a ributtarsi nel duello qualche istante dopo. Gioca con i pianisequenza, con le angolazioni. Mostra e nasconde. Prima ci avviciniamo agli occhi dei personaggi, poi ci allontaniamo e guardiamo la scena dai monitor di video sorveglianza. Adatta la sua regia alla situazione, mette la sua macchina da presa al servizio della sfida. La sua è una vera e propria messa in scena.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Non l'ho visto.

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