martedì 6 gennaio 2009

"Meduse" di Etgar Keret & Shira Geffen


A volte servono gli scrittori per ricordarci quanto il cinema sia soprattutto narrazione per immagini. E paradossalmente sono proprio due scrittori, artigiani della parola, a raccontarci per immagini, con la chiave del surrealismo, la nostra incapacità a comunicare.
Etgar Keret e Shira Geffen, al loro debutto dietro la macchina da presa, intrecciano le storie di 3 donne ognuna delle quali incarna un differente aspetto (o faccia) dell'isolamento.

Una ex-cameriera infelice della propria vita, che cerca se stessa...attraverso se stessa, attraverso il legame con la sua infanzia, con i suoi ricordi, grazie all'incontro magico con una bambina (se stessa?) uscita dal mare (dalla vita, dal passato, dai ricordi, dal nostro inconscio).
Una badante filippina, incapace di comunicare, che cerca lavoro a Tel-Aviv, lontano da casa, lontano da quel figlio al quale non riesce a comprare il tanto desiderato giocattolo (guarda caso una nave, il mare che ritorna). La lontananza da casa, il legame con la propria terra e i propri affetti. Una distanza che appare impossibile da colmare, ma che presto si rivelerà possibile grazie al linguaggio dei sentimenti che rompe le barriere dialettiche.
E infine una neo sposa, costretta a letto da una gamba ingessata. L'unica che vive la solitudine anche in maniera fisica, impossibilitata a muoversi e che per questo, in gabbia nella sua camera d'albergo, affida i suoi pensieri alla carta, alla parola scritta. Lei il mare non riesce neanche a vederlo dalla finestra e così lo materializza nella sua poesia che si rivelerà poi perfetta lettera di addio per una suicida.

Le loro vite galleggiano in un mare immenso e sia che si sentano lontante dal mondo, dai loro cari o da loro stesse, queste tre donne cercano disperatamente di trovare un'ancora alla quale aggrapparsi per ridare un senso alla propria esistenza, per smetterla di sentirsi così in balia delle onde.
Siamo tutti meduse. Tutti noi ci lasciamo spingere dalla corrente, incapaci di governare il nostro moto nel mare e per questo finiamo con l'isolarci, con l'avere paura di ciò che ci circonda.

Un film piccolo, e come spesso accade universale, delicato e poetico. Allo stesso tempo realistico e surreale. Un film che come detto gioca grazie alle immagini e alle metafore per raccontarci una umanità forte e fragile in equal misura.
Un debutto sorprendente, vista anche l'origine artistica dei due registi, che da una nuova visione alle storie coralli, alle vicende che intrecciano più vite, più esistenze che finiscono per incontrarsi, sfiorarsi, scontrarsi tra loro. Questa volta le vite non si toccano mai e il filo rosso che li unisce è la solitudine. Un ottima sceneggiatura che equilibra bene il ritmo tra una storia e un'altra regalando personaggi che ci attirano, grazie anche a una buona dose di magia.

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