domenica 18 maggio 2008

"The Aviator" di Martin Scorsese


Reduce dalla titanica fatica di “Gangs of New York”, film che Scorsese sentiva moltissimo, anche come omaggio a quella città da lui tanto cara e che da poco era stata marchiata indelebilmente dall’11 Settembre, il regista premio Oscar inizia a lavorare a un progetto anch’esso fortemente voluto. Ma non da lui, bensì da quello che ormai è diventato uno dei suoi attori feticcio, Leonardo di Caprio. The Aviator è la storia di Howard Hughes, produttore cinematografico, miliardario, playboy e, ovviamente aviatore.
È chiaro che raccontare la vita di un personaggio così leggendario e pieno di sfaccettature non è impresa semplice e generalmente quando il cinema hollywoodiano si intestardisce a provarci (ovvero molto spesso) il risultato non è mai entusiasmante.
Anche "The Aviator" rientra in questa statistica.
Nonostante Scorsese abbia già raccontato storie che si reggono su un'unica figura, come il Travis Bickle di "Taxi Drive" o il Jack LaMotta di "Toro Scatenato", e con risultati eccezionali, in questo caso è proprio la figura di Howard Hughes a non essere sufficientemente potente da reggere il film. Un personaggio assolutamente mal costruito di cui sappiamo poco o nulla. Si sorvola soprattutto, su due aspetti fondamentali della vitadi Hughes: i suoi soldi e la sua fobia.

Non sappiamo da dove provenga la montagna di soldi in suo possesso. Per tutto il film spende milioni e milioni di dollari senza battere ciglio. Fa costruire aereoplani mai visti prima e ri-girare interi film con soldi di cui non sappiamo la provenienza ne la quantità. Viene fatto accenno a una eredità, ma è un dettaglio un po’ misero, poco approfondito e alla fine finisce per risultare poco credibile questo sperpero di denaro illimitato.
Anche la fobia di Hughes per i germi, che sarà alla base della sua “pazzia”, non sappiamo minimamente da dove nasca. È un aspetto che viene lasciato all’immaginazione, supportato da quello splendido incipit che ci fa supporre un collegamento tra la fobia e la figura della madre morta, con la quale il protagonista era molto legato. Ma è troppo poco per disegnare un personaggio così mitico e interessante.

Nel complesso è tutta la sceneggiatura a non reggere. E' scarsa di ritmo e di identità. Non sa bene che cosa vuole essere, quali aspetti della vita del protagonista voglia mettere in risalto. Spazia qua e là tra cinema, aerei e belle donne, senza una struttura reale.
A sostenerla c'è solo la splendida fotografia di Robert Richardson e il solito impeccabile montaggio della Schoonmaker.
E' incredibile come Hollywood continui incessantemente sulla sua strada, realizzando filmoni da 11 Nomination agli Oscar, con cast di stelle, grandi effettoni speciali, un regista tra i migliori di sempre, ma che alla base manca di quell'elemento essenziale nella costruzione di un film, che è la sceneggiatura. Veramente, a pensarci bene, si sà che tale scelta non è poi così misteriosa. La gente, al cinema, non si interessa di personaggi, intrecci ed economia della narrazione, ma cerca principalmente i nomi, i volti, e le immagini fuori dal normale.
Ho l'impressione che Scorsese, qui si sia lasciato influenzare dai produttori e dal suo pupillo Di Caprio, per realizzare un film che forse, sotto sotto, non gli interessava più di tanto.

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