giovedì 22 maggio 2008

"L'ora di punta" di Vincenzo Marra

pubblicato su "www.filmedvd.it"

Ci sono registi che credono che per dare spessore a un film, e soprattutto cercare di elevarlo da un punto di vista stilistico, sia sufficiente girare delle scene mute, fatte di lunghe pause, attese, sguardi persi nel vuoto.
Deve essere di questo avviso anche Vincenzo Marra, regista di questo "L'ora di punta". Un film che può essere facilmente definito didascalico.
La storia di Filippo, ex finanziere corrotto, che cerca di fare soldi grazie ai suoi agganci nella Guardia di Finanza è noioso e senza phatos. Come per "Mare Nero", anche qui non è la lentezza del ritmo l'aspetto negativo, il fatto è che in tutta questa lentezza, non succede nulla di significativo. Al protagonista non capita nulla, e per assistere al primo conflitto interriore che Filippo si ritrova a dover risolvere, ovvero quando Donati lo minaccia di spifferare alla GdF il suo passato corrotto, è già passata ben un'ora di pellicola e comunque, tale conflitto si risolve a breve senza conseguenze per il protagonista.
Filippo non è mai in pericolo, non è mai costretto a fare scelte, non è mai costretto a schiacciare qualcuno per raggiungere il suo scopo. Va avanti tra lunghe attese a fissare il nulla e strette di mano a bancari. Un appuntamento dietro l'altro e nel mezzo una ridicola storia d'amore, che definire tale è eccessivo.
Anche qui, dove si poteva creare un minimo di conflitto, trovandosi in mezzo a due donne, non succede niente di chè. Fanny Ardant è alle prese forse con il suo ruolo più inutile, dove si ritrova a dire qualche battuta all'inizio poi viene messa da parte, fingendo una passione per il protagonista che è abbastanza patetica.
Imbarazzante anche la recitazione di Michele Lastella, anch'essa didascalica, senza cambi di tono o di espressione. Tutte le battute pronunciate con lo stesso timbro di voce che qualche volta risulta perfino cantilenante. Per fortuna c'è Augusto Zucchi che risolleva un po' il film sul piano attoriale.

Un film che voleva essere un attacco a un modo sporco di fare carriera, puntando il dito anche verso la Guardia di Finanza, ma che invece non ha la forza neanche di uno schiaffo e alla fine lascia lo spettatore in poltrona, incantato come Filippo davanti alla finestra, a chiedersi se i registi/sceneggiatori italiani la finiranno prima o poi di ricercare inutilmente una falsa qualità stilistica e daranno finalmente più peso alle storie che scrivono e alla profondità dei loro personaggi.

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