giovedì 15 maggio 2008

"Metropolis" di Fritz Lang


Divagazione sul cinema muto

Il cinema muto è il cinema dei dettagli. Dettagli che il sonoro ha cancellato lasciando il posto a dialoghi inutili e inutili effetti visivi.
Gesti, sguardi, elementi scenografici. La magia della narrazione per immagini di quel cinema è ormai scomparsa. Si dice che il cinema moderno ha portato il pubblico ad interagire con la storia, a cercare di sbrogliare la matassa, a non restare passivo sulla poltrona. In parte è vero, ma ciò vale solo per alcuni film che costringono lo spettatore a prestare il massimo dell'attenzione e a metterci del suo per comprendere a pieno la storia. Per il resto, il cinema moderno ha portato lo spettatore ad enfatizzare il proprio stato di passività nella visione del film, servendogli film dalla trama semplice in cui tutto è mostrato e spiegato. Niente è lasciato all'analisi del pubblico. Quest'ultimo non deve sforzarsi di comprendere la psicologia di un personaggio o le motivazioni che lo spingono alle sue azioni. Tutto viene spiegato subito. Sono i personaggi stessi a dirlo, a servire su un vassoio la loro vita, psicologia e storia senza bisogno che quelle persone sedute in platea facciano nulla.
Freder che entrando di corsa nell'ufficio del padre, allunga una mano e ferma la porta che rischia di sbattere. Un gesto semplice, anche banale, ma che paradossalmente ci mostra la figura di Joh Fredersen, di chi sia e soprattutto di cosa sia agli occhi del figlio. Anche se Freder ha bisogno di lui, vuole avere delle risposte e per questo è corso da lui in tutta fretta, frena il suo impulso, accompagna il portone e aspetta. Sà che se la porta dovesse sbattere, disturberebbe il padre, il suo lavoro sarebbe interrotto e rischierebbe di farlo infuriare per nulla. Un figlio che ha ancora paura del potere del padre. Come viene spiegato tutto questo? Niente parole, solo una mano che ferma una porta.
Per non parlare poi della recitazione. Chiaramente eccessiva ai giorni nostri per via di quei movimenti enfatizzati ed esagerati, dovuti al passato teatrale degli attori, ma che sono lì a ricordarci come il corpo dell'attore possa narrare molto anche senza bisogno delle parole.

E ora il film

Che cosa porta "Metropolis" a piazzarsi stabilmente ai primi posti delle classifiche dei migliori film di tutti i tempi? Generalmente tale onore è dato a quelle opere capaci di staccarsi prepotentemente dal passato con uno stile nuovo e originale e che soprattutto regalano analisi sempre nuove ad ogni visione. Basti pensare a Quarto Potere o 2001 Odissea nello spazio. Film che segnano una tappa nuova nel modo di fare e concepire il cinema e che non hanno timore di subire il verdetto delle generazioni future. Questo è possibile grazie, oltre alla forza visiva del film ,ai contenuti. Il plurale non è casuale. I grandi film hanno sempre più temi da trattare, sono strutturati su più livelli, e ogni volta salta fuori qualcosa che ti era sfuggito alle precedenti visioni. Analisi, queste sì, che portano lo spettatore, anche a distanza di decenni ad interrogarsi sui personaggi e gli eventi e a cercare di decifrare i simboli e comprendere i messaggi dell'Autore.
"Metropolis" ha tutto questo. Oltre ad essere un film sul politicamente corretto rapporto di simbiosi tra borghesia e proletariato o sul rispetto reciproco, è un film che presenta molte atre chiavi di lettura. Ad esempio quella religiosa. La religione è fortemente presente per tutto il film a partire dalla città stessa, Metropolis, il cui palazzo centrale è guarda caso denominata Torre di Babele. John Fredersen, in questa ricerca metropolitana di puntare al cielo nella costruzione degli edifici è come se volesse raggiungere Dio, proprio come la biblica torre. Rotwang, l'inventore, si sostituisce a Dio costruendo un robot a immagine e somiglianza umana. La divisione verticale tra Metropolis e la città degli operai è chiaramente ispirata all'Inferno e al Paradiso, con le fiamme infernali e il dolore sotto e la luce e il benessere di sopra.
Non è un caso che la donna a cui Lang fa pronunciare i suo messaggi di pace e amore si chiami Maria e Freder, che si mostra come il mediatore, altro non è che il Messia, che infatti Maria definisce come "colui che porterà armonia tra la testa e le mani" cioè colui che porterà pace e armonia tra i popoli. E per finire la scena finale, la finale riunificazione tra le parti si svolge in una cattedrale.

Questa è solo una interpretazione (o sarebbe meglio dire "livello) che è possibile estrarre da "Metropolis". Un'altro tema è quello del doppio e della dualità. Oltre alla già citata differenza tra le due città, e quindi tra luce e ombra, alto e basso, c'è il rapporto tra Fredersen e suo figlio, uno desideroso di schiacciare gli operai, quasi un diavolo che li spedisce all'Inferno, l'altro determinato a unire le parti e come detto, metafora di Gesù.
Fredersen e Rotwang due uomini una sola donna da amare. Rotwang stesso che fa il doppio gioco verso il signore di Metropolis facendogli credere di essere dalla sua parte (ancora il doppio quindi). Freder che si sostituisce a 11811 diventando così un suo doppio. Le due Maria, quella vera e quella robotica.
"Metropolis" è quindi un film che ha sempre qualcosa da raccontare. Ricco di sfaccettature e analisi sull'uomo e la società.

Dal punto di vista tecnico poi, anche qui raggiunge il top. E' strano pensare come un film del genere sia stato realizzato appena 20 anni dopo la nascita del Cinematografo. Quando il Cinema cominciava a muovere i primi passi, Lang realizzò un opera di tale impatto visivo, con sequenze che non sfigurano neanche ai giorni nostri. Una storia complessa ma narrata con semplicità e chiarezza, il tutto costruito come un'opera lirica.
Un film che supera i decenni e insegna ancora oggi come si realizza il vero Cinema.

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