domenica 25 maggio 2008

"Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo" di Steven Spielberg


"Quante cose si perdono nell'attesa". L'ultima frase del film è lì quasi per dirci "guardate che cosa vi siete persi ad aspettare tutto questo tempo." Sono passati vent'anni dall'ultimo capitolo della saga di Indiana Jones e sembra che il tempo si sia fermato.
Si sapeva bene che questo ritorno dell'archeologo con frusta e cappello era una operazione nostalgia, creata non tanto per aggiungere nuovi elementi alla saga ma per rituffarsi nel passato.
L'operazione è più che riuscita.
Certo, all'inizio si rimane decisamente spiazzati da vedere il nostro eroe negli anni '50, in una ambientazione molto lontana da quella dei primi tre episodi, ma basta poco e ritroviamo il professor Jones nella sua aula dell'Università davanti a una schiera di studenti per la maggior parte donne. Quando poi, il professore, indossa il suo giubbotto di pelle e il cappello ecco che ci sembra di essere davanti a un vecchio amico che non vedevamo da tempo.
Se l'incognita più grande del film era proprio il protagonista, o meglio il suo interprete, Harrison Ford cancella in un attimo ogni dubbio sulla sua capacità di rutuffarsi nei panni di Indy. Anzi, sembra quasi che non aspettasse altro. Eccezion fatta per qualche ruga in più, infatti, i cazzotti sono quelli dei tempi d'oro, lo humor irresistibile è rimasto lo stesso, così come il sorriso sciupa femmine e il fisico fa invidia a tutti gli over cinquanta (e non solo).

Indiana Jones è ormai diventato un simbolo, quasi come l'immagine di Che Guevara sulle magliette. Un marchio che Spielberg esalta spesso in quelle sue tanto amate ombre (riflessi e ombre sono un elemento caratteristico dell'estetica filmica del regista di Cincinnati). E' un marchio, una sagoma impossibile da confondere, che è sinonimo di divertimento e avventura.
E questo si aspettava il pubblico. Due ore di divertimento, auto-citazioni ed evasione.
E al mondo sono pochissimi i registi in grado di far divertire il pubblico quanto Steven Spielberg. Quello che molti definiscono come il regista più completo al mondo, l'unico in grado di passare con disinvoltura, ed estremo talento, da "Schindler's List" a "La guerra dei mondi", da "Salvate il soldato Ryan" a "E.T.", da "Il colore viola" a "Jurassic Park", si sente dannatamente a suo agio a dirigere una giostra di inseguimenti, sparatorie, misteri e fughe rocambolesche come questo quarto episodio.

I rischi che si potevano correre erano gli stessi che ha corso George Lucas riprendendo in mano la saga di "Star Wars". Ovvero quella di non rispettare alcuni elementi tipici della serie, lasciandosi andare ad ardite invenzioni, esagerazioni inutili ed eccessivi giochi di computer grafica che stonano ed annullano l'atmosfera dei capitoli originali . Si ha l'impressione che Lucas abbia messo il suo zampino in qualche idea più di una volta, come Mutt che si dondola tra le liane o le formiche che si arrampicano una sull'altra per raggiungere Cate Blanchet. Ma nel complesso Spielberg non cade nella trappola (apparte nel finale) e resta abile nel dosare bene gli ingredienti mantenendo vivo e inalterato lo spirito di Indiana Jones. La scelta di utilizzare stuntman ed effetti speciali meccanici al posto della CGI per le scene d'azione dimostra la volontà di mantenere un filo visivo con la vecchia trilogia.

Quello che apparentemente stona è la virata fantascientifica del finale, anch'essa tanto cara al regista. Molti storceranno il naso, ma se ci si pensa bene, Indiana Jones non è mai stato esente da fantasticherie poco scientifiche. Nella trilogia entravano in gioco il misticismo e le credenze religiose, con la "potenza di Dio" che veniva sprigionata dall'arca in "Indiana Jones e l'arca perduta" e che polverizzava i nazisti. Oppure il Santo Graal de "L'Ultima Crociata" che curava istantaneamete la ferita di Indy e che veniva custodito da un cavaliere templare sopravvissuto nella grotta da secoli e secoli. O ancora le pietre che prendono fuoco in "Il tempio maledetto" o il sacerdote che estrae il cuore dal petto delle sue vittime sacrificali. E poi siamo in pieni anni '50, non da molto è avvenuto "l'incidente di Roswell" in cui gli ufologi presumono sia precipitata un'astronave aliena ed è verosimile pensare (come viene detto nel film) che Indiana fece parte dell'equipe che ha lavorato sui resti ritrovati nel deserto. Ed è presumibile pensare, che il magazzino in cui si svolge il prologo e nel quale sono custoditi i resti alieni (nonchè l'arca dell'alleanza che compare anche durante l'inseguimento) sia la famosa Area 51.
Quello che davvero è difficile accettare è l'astronave che compare alla fine del film. Personalmente, avrei trovato più corretto mantenere un alone mistico e leggendario sul tema degli alieni, giocando sulla vincente formula del "Tell, Don't Show" (formula inversa della regola d'oro del Cinema "Show, Dont' Tell") tipica dei veri film horror o di fantascienza, ovvero parlare di qualcosa, teorizzarne l'esistenza, il potere, la peicolosità, ma non mostrandolo mai realmente. Spielberg-Lucas sono invece caduti nella trappola del "più roba mettiamo, più al pubblico piacerà", cosa che in realtà non sempre è veritiara (Star Wars insegna).

Comunque nel complesso, "Il regno del teschio di cristallo" è un film divertente, che chiaramente non potrà assurgere a cult movie come i precedenti, ma d'altronde non era questo il suo obiettivo. Il suo scopo era quello di riportare nelle sale un personaggio tra i più amati nella storia del cinema per il puro gusto di divertire e già che ci siamo, di incassare qualche dollaro. I fan più accaniti si divideranno in due schieramenti come accade sempre in questi casi (Star Wars insegna). Ma lasciamoli discutere tra loro. Per noi, che Indiana Jones l'abbiamo amato, ma che non ci aspettavano nulla di più che un bel divertissement, siamo rimasti soddisfatti.

Per la cronaca, tra i prossimi progetti di Camaleonte-Spielberg ci sono un dramma sui tragici fatti del 1968 alla Convention Democratica di Chicago, una trasposizione del fumetto di TinTin degli anni '30, un film di fantascienza e la biografia di Abramo Lincoln.
Come lui non c'è nessuno.

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